I volti della
Leggenda
Un romanzo diventa motivo di ispirazione per una produzione cinematografica. Ed ecco aprirsi il dibattito. Ma qui, il romanzo I am legend di Richard Matherson, pubblicato nel 1954, trae spunto da un precedente cinematografico, nato dal ribaltamento dei ruoli del Dracula di Tod Browning del 1931.
La fine dell’umanità, immaginata da Matherson, coincideva con la nascita di una nuova società di esseri mostruosi, almeno secondo il punto di vista di un umano. La materia narrativa del romanzo ha esercitato immediatamente un fortissimo motivo di attrazione per il cinema; inoltre, il background di Matherson, sceneggiatore di molte puntate di Ai Confini della Realtà (The Twilight Zone, 1959-1969), ma anche autore di film come Duel (id., 1971) di Steven Spielberg, ha sicuramente contribuito a rendere facilmente sceneggiabile lo scritto originale.
Non è un caso che siano ben tre i titoli tratti ufficialmente dal romanzo di Matherson: L’ultimo uomo sulla terra di Ubaldo Ragona (1964), 1975: Occhi bianchi sul pianeta terra ( The Omega Man , 1971) di Boris Sagal e Io sono leggenda di Francis Lawrence. Il libro stesso è stato fonte di ispirazione per il celeberrimo ciclo degli zombie di George A. Romero, iniziato nel 1968 con La notte dei morti viventi (id., Night of the Living Dead).
La forza rivoluzionaria del romanzo di Matherson risiede nella descrizione di come la tragedia di Robert Neville sia il preambolo per la nascita di una nuova società. La distruzione del genere umano, causata da un’epidemia batteriologica, consegna il mondo a una società alternativa di esseri tratteggiati secondo l’immaginario tradizionalmente riservato alla figura del vampiro. Robert Neville infatti, nel tentativo di sgominare sistematicamente ogni infetto, combatte i suoi nemici con aglio e paletti di legno, come un moderno Van Elsing.
L’immaginario vampiresco è stato inizialmente rispettato nel film di Ubaldo Ragona. Neville è a tutti gli effetti l’ultimo uomo sulla terra: il suo sacrificio finale, nel bellissimo epilogo ambientato in una chiesa, si trasforma in leggenda quando viene ucciso per quella paura che lui stesso generava nei mostri che stava combattendo. Si tratta però di un nuovo inizio fatto di diversi, che tuttavia ora sono tutti uguali, e tutti salvi, come dice la madre alla figlia per tranquillizzarla.
Il film di Sagal invece trasforma i vampiri in malati, foto fobici, capaci di organizzare una nuova società (la “famiglia”), in grado di prendere le distanze dalle armi e dalle tecnologie umane che hanno causato il disastro (la guerra batteriologica tra Cina e Urss). La scelta di Sagal, sebbene risulti piuttosto avventata, contribuisce a sottolineare il messaggio originale di Matherson, anche se il finale aperto lascia alcune speranze di sopravvivenza all’esiguo gruppo di scampati al contagio, a cui Neville ha consegnato il vaccino in punto di morte.
Contrariamente a quanto è accaduto con gli zombie di Romero, che con gli anni sono diventati esseri sociali e parlanti (un fenomeno riscontrabile anche nel genere western nei confronti delle figure dei Pellirosse), il film di Lawrence segna un’involuzione della figura del nemico, trasformandolo in una creatura governata dal puro istinto, desemantizzata da ogni legame con i mostri tradizionali (lo zombie, il non morto, il vampiro), ad esclusione per l’avversione alla luce solare.
Neville (Will Smith) non prova alcun rimorso nell’uccidere questi esseri decerebrati, quasi fosse al centro di un realistico videogame (e qui andiamo da House of the dead (id., Uwe Boll, 2004) a Silent Hill di Christophe Gans, 2006). Anche in Io sono leggenda il protagonista muore, conservando apparentemente l’elemento tragico dei due film precedenti, ma in realtà lasciando intravedere nella tragedia un inaspettato Happy End: l’11 settembre continua a mietere vittime. Patriotticamente ambientato in una spettrale New York (“Il mio ground zero”, come lo definisce Will Smith), il film si consacra nella speranza che il gesto di Neville (la consegna del vaccino) possa essere la chiave di sopravvivenza per un folto gruppo di sopravissuti, arroccati in una cittadina militarizzata del Vermont. E questo pare uno smacco a tutto quello che Matherson ci ha comunicato.
Il popolo americano è governato da una lobby creazionista, questa non è una supposizione ma un dato di fatto, e il film di Lawrence pare voler sovvertire lo spirito darwinista (l’evoluzione è legata alla sopravvivenza del più forte) sostituendolo con un messaggio più rassicurante in cui l’essere umano è nuovamente al centro della storia del mondo, ovviamente perché popolo eletto. Non c’è spazio per il diverso, l’altrui, l’alieno; questo mondo è stato dato all’uomo per volere divino.
In questo caso, e solo in questo, Robert Neville diventa realmente una figura cristologica, che muore per la [img4]salvezza dell’umanità.
La grandezza di Vincent Price si trasforma in leggenda perché è l’ultimo della sua specie: uno spauracchio che fa piangere i bambini. Inquietante e fortemente filosofico. Charlton Heston è un pacifista che al cinema vede e rivede Woodstock, ma che ama profondamente il suo mitragliatore e che non esita a fare stragi dei diversi: è un simbolo del relativismo e della confusione politica che ha caratterizzato gli anni Settanta. Will Smith invece è l’antitesi di Vincent Price. Ennesimo eletto, percepisce che solo attraverso il suo sacrificio può giungere la salvezza per il resto dell’umanità. Un finale rassicurante, ma capace di essere profondamente inquietante, perché specchio del suo tempo.
A cura di Carlo Prevosti
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