La scrittura del corpo
È ancora la combustione di corpo, sangue e duplicità dell’essere a coordinare il cinema di David Cronenberg. Detto in altri modi, anche Eastern Promises racconta l’uomo. Sì, perché il corpo, per Cronenberg, è la forma dell’uomo, la sua espressione, il suo canale (emo)comunicativo.
Nel precedente A History of Violence (2005) il corpo era un viaggio nel tempo, una mutazione temporale, uno scontro generazionale; in Eastern Promises, invece, è un tatuaggio, un segno indelebile che passa davanti, sopra, sotto, dentro gli occhi di altri uomini che, prima ancora di colpire, ferire, uccidere, inevitabilmente guardano. Il corpo è movimento nello spazio.
Come accadeva anche in Spider (2002) dove si districava tra fitte ragnatele, in Eastern Promises il corpo entra ed esce dal labirintico incubo della mafia russa, nuovo corpo virulento del cinema cronenberghiano.
Da una forma all’altra, il corpo si ridefinisce e si ricalibra in nuovi spazi. Anche quando espelle la sua essenza, il sangue. Questa continua alternanza tra interno/esterno acquista una nuova sfumatura in Eastern Promises perché concede a superficie e interiorità la conquista di ampi spazi. L’inganno, la promessa, la salvezza e la morte sembrano salire e scendere da una giostra carica di mistero e inquietudine che sposta lo spettatore da un’esperienza emotiva all’altra senza più il controllo di niente.
Cronenberg racconta, innanzitutto, il viaggio interiore di un uomo che guarda dentro il corpo virulento della mafia russa. Un uomo che ha la pelle maculata dai tatuaggi, che perde sangue e che tocca sangue e corpi insanguinati sempre, da sempre e, forse, per sempre. Un uomo, anche, capace di guardare all’amore, alla salvezza e alla speranza.
Eastern Promises è anche la forma di un’ambiguità di fondo, di un disagio esistenziale, di uno scontro concettuale di presenze e identità. La lotta tra bene e male o, forse, la lotta per conoscere cosa sia bene e cosa sia male.
Un film corporale, quindi un film sessuale e per certi versi omosessuale (in fondo gli uomini sono al centro ma anche ai margini e poi la questione rappresenta, da sempre, una specie di ossessione del regista), che racconta la morte, la nascita e la rinascita. La luce, il buio, ancora il buio e poi la luce nel buio. Che scava dentro le ragioni dell’animo umano, che guarda al presente denunciando una realtà estremamente radicata nel territorio londinese, così come estremamente viene descritta e raccontata in questo caso.
Penetrante, romantico, sovversivo, selvaggio, prospettico. Che film!
A cura di Matteo Mazza
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