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Quale America?

Quale America?

A distanza di dieci anni dalla precedente raccolta Best of Young American Novelists, pubblicata nel 1996, la rivista letteraria inglese Granta fa il bis, pubblicando una seconda antologia che si propone di selezionare i migliori giovani narratori americani del momento. La raccolta esce in Italia edita da Minimum fax (casa editrice ormai centrale nella promozione della letteratura americana, basti pensare al caso di Burned Children of America) con il titolo United Stories of America. 21 scrittori per il 21° secolo.

La prima cosa che salta agli occhi, dando una scorsa veloce alla lista degli autori, è che la maggior parte non è di origine statunitense, ma si tratta di immigrati provenienti da tutte le parti del mondo: Sud America, Europa dell’est, Estremo Oriente, Africa. La seconda è l’abbassamento dell’età media (tutti sotto i 35 anni). Certo, quest’ultima osservazione non risulta strana se si pensa al nuovo corso della narrativa di casa Usa, dove i “ragazzi” scelgono di scrivere e pubblicare molto presto, dopo aver frequentato l’università proprio per imparare a scrivere. Si può quindi comprendere la discussione relativa alle scuole di scrittura creativa presente nella stessa introduzione al volume di Ian Jack. Uno degli effetti di queste “scuole” è l’enorme mole di racconti prodotta, tanto da arrivare a parlare di “fabbriche di letteratura” e “produzione industriale”. E questa raccolta non può non evidenziare il risultato di questo andamento indirizzato alla produzione di massa: un certo appiattimento stilistico e tematico. È decisamente spiacevole notare che tre quarti dei giovani scrittori provengono dai college della Ivy League o da altre università egualmente rinomate e dispendiose; da ciò l’assenza di tematiche sociali e di conflitto di classe (tanto care ai giovani scrittori di dieci anni fa), in favore di temi quali l’appartenenza etnica, la migrazione e l’essere stranieri in quel grande calderone di razze che sono gli Stati Uniti.
Ma il secondo problema, forse ancor più grave, riguarda il livello stilistico delle scuole cosiddette creative; e il colorato patchwork etnico si stempera nel rosso-blu della bandiera a stelle e strisce.
Un’ultima critica che mi permetto di muovere al complesso dell’opera è la generale sensazione di sospensione che proviene dalla lettura dei racconti. Racconti che non sono tali: si tratta perlopiù di estratti da romanzi in uscita (tutti i giovani scrittori hanno già al loro attivo la pubblicazione di romanzi o raccolte di racconti), percui la storia inizia in medias res e finisce in mezzo al nulla, senza un punto, una fine. E ti lascia con l’amaro in bocca e la mente scarica di pensieri.

Mi accorgo ora di aver dipinto una situazione più nera del dovuto. Questa antologia non manca di spunti di genio e di classe, a partire da Jonathan Safran Foer, ormai famoso per i suoi due romanzi Ogni cosa è illuminata (da cui è stato tratto l’omonimo film) e Molto forte, incredibilmente vicino. Ma poi c’è Dove l’est incontra l’ovest di Nell Freudernberger, storia di conflitti ovattati, raccontato con estrema delicatezza. Il travolgente Esilio di Olga Grushin. Pasqua a New Orleans di Dara Horn, con la ricostruzione storica degli antefatti all’assassinio del presidente Lincoln. O Tannenbaum di Maile Meloy, una serena vigilia natalizia di una normale famiglia viene stravolta dall’incontro con una strana coppia: Bonnie e Clyde. E poi ancora non posso non citare Quella prima volta di Cristopher Coake.
Insomma, il panorama americano abbonda di giovani (aspiranti) scrittori, e tra questi se ne possono trovare alcuni di sicuro prestigio. È a partire da questi autori che possiamo cominciare a tracciare, anzi, ritracciare, le linee guida e i confini della (buona) letteratura americana contemporanea, e probabilmente del futuro.

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