Intervista a Francis Ford Coppola
Dieci anni dopo L’uomo della pioggia, Francis Ford Coppola torna dietro la macchina da presa con Un’altra giovinezza. Ecco come l’ha presentato alla stampa.
Come ha iniziato a lavorare sull’opera di Mircea Eliade?
Ho scoperto Un’altra giovinezza grazie a una mia vecchia amica dei tempi del liceo, Wendy Doniger. Le avevo dato da leggere Megalopolis, una sceneggiatura a cui lavoravo da molti anni, ma che non ero mai riuscito a finire. Immaginavo che Wendy, oggi autorevole studiosa dell’oriente, potesse aiutarmi a mettere a fuoco alcuni temi centrali della storia, difficili e complessi, e così è stato. Abbiamo discusso le due aree del linguaggio cinematografico che mi interessano: il tempo e la consapevolezza interiore. Il suo giudizio sulla sceneggiatura è stato incoraggiante. Ma soprattutto ha accluso alla risposta alcuni intriganti passaggi tratti da Un’altra giovinezza, un racconto scritto dal suo mentore, Mircea Eliade. Ho deciso di leggerlo anch’io. Poco dopo aver iniziato, ho pensato: “Questo racconto posso trasformarlo in un film. Non lo dirò a nessuno. Comincerò a fare il film, e basta.”
Che cosa l’ha intrigata della storia?
Mi riguardava da vicino. Come il suo personaggio principale, Dominic, ero torturato e bloccato dalla mia incapacità di portare a termine un lavoro importate. A 66 anni, mi sentivo frustrato: da otto anni non facevo un film; le mie aziende andavano a gonfie vele, ma la mia vita creativa era inappagata. Un’altra giovinezza potrebbe essere, in un certo senso, il soggetto di un episodio di Ai confini della realtà: un vecchio professore torna giovane, e sfrutta il tempo in più che gli viene concesso per continuare la sua ricerca sulle origini del linguaggio. Un soggetto da film a basso costo. E ambientato in Romania. Romania! Mi è sempre piaciuto allontanarmi dal centro delle cose, un po’ quello che ho fatto quando mi sono trasferito da Los Angeles a San Francisco. Quindi un po’ in sordina ho cominciato a trattare l’acquisto dei diritti del racconto. Ho cominciato a pensare a come avrei realizzato il film, anche se ancora non ce l’avevo un film da fare. Ho preso un quaderno e ho cominciato a buttare giù appunti. All’improvviso, avevo di nuovo un traguardo e la speranza di raggiungerlo.
Come ha iniziato il lavoro su questo film?
Avevo già la macchina da presa e da poco avevo acquistato anche una serie di obiettivi, veri gioielli. Ho cominciato a fare ipotesi sullo stile delle riprese. Come il grande regista giapponese, Ozu, non volevo muovere la macchina da presa. Niente di originale e niente più di un punto di partenza, ma forse le mie riflessioni sul tempo e sulla coscienza potevano contribuire ad ampliare il vocabolario del cinema. Era una cosa che desideravo fare da tempo. Che sollievo! Quando uscivo con la mia famiglia o con gli amici stavo meglio, perché avevo un segreto di cui nessuno sapeva niente, un nuovo film che bolliva in pentola. Finita la sceneggiatura, sono andato in Romania con mia figlia, Gia. Eravamo ospiti di un amico americano che aveva rilevato una vecchia e malandata azienda farmaceutica e intendeva trasformarla in un’azienda competitiva sul mercato europeo. Un’ottima copertura per me. Non avevo nessuna voglia di fare la parte del famoso regista in trasferta e con un grosso budget. Il mio atteggiamento era quello di uno studente al suo primo film. Gia ed io abbiamo girato la Romania, visitando tutti i veri indirizzi della storia, è stato avventuroso e divertente. Un po’ per volta, ho messo a punto un piano per produrmi il film da solo. Era un sollievo non dover andare a chiedere soldi a finanziatori e case di produzione. Ho cercato di semplificare al massimo. Quando ho capito che il progetto poteva funzionare, ho fatto arrivare due colleghi fidati, Anahid Nazarian, Masa Tsuyuki e la macchina da presa.
Come ha scelto gli attori per un progetto di questo tipo?
Ho cominciato a provinare attori in una stanzetta dell’azienda farmaceutica del mio amico: c’erano cinquanta ruoli, in Un’altra giovinezza, quanti attori potevo reclutare, sul posto? Ma avevo un progetto ancora più ambizioso: per ogni provino avrei usato un direttore della fotografia diverso. Erano tutti bravi, ma alla fine ho scelto Mihai Malaimare Jr. Il tema del film era il ritorno alla giovinezza e mi piaceva il fatto che Mihai fosse così giovane, con una personalità così gentile e un talento così straordinario. Quando gli ho detto che la macchina da presa sarebbe rimasta ferma per tutto il film, ha detto solo “Fantastico!” Passo dopo passo, ho capito come dovevo procedere. Anahid aveva prodotto un paio di film a basso costo, con ottimi risultati. Non volevo una troupe troppo numerosa. Ci saremmo sdoppiati: Anahid sarebbe stata sia produttore esecutivo che segretaria. Per quanto riguarda le attrezzature, avrei usato solo lo stretto indispensabile. Masa è tornato a Napa e ha comprato un furgone Dodge Sprinter che ha trasformato in uno studio mobile con cui trasportare tutti i macchinari. Poi lo ha spedito in Romania. A quel punto, non potevo più tirarmi indietro; la macchina si era messa in moto. Per il protagonista, Dominic, mi serviva un attore di grande intelligenza, che fosse in grado di affrontare le tante sfide del personaggio, comprese le ore di trucco per un ruolo che nel film deve avere dai 26 ai 101 anni. Quando ho conosciuto Tim Roth, mi è sembrato subito un uomo simpatico e molto intelligente. Aveva già al suo attivo prove d’attore straordinarie ed era entusiasta di mettersi alla prova in questo ruolo. Avevo visto Alexandra Maria Lara in La caduta – gli ultimi giorni di Hitler e mi era sembrata una bellissima presenza sullo schermo, con una grande capacità di trasmettere gli stati d’animo del personaggio.Quando incontri un’attrice così, sai di avere trovato un tesoro. E’ stato proprio per questa sua caratteristica che le ho chiesto di interpretare tre ruoli che erano varianti della stessa persona – Laura, Veronica e Rupini. Avere un’unica attrice nei tre ruoli diversi poteva contribuire a chiarire il tema della reincarnazione e [img4]della trasmigrazione dell’anima. Bruno Ganz, naturalmente, lo avevo visto nei film di Wim Wenders. Siccome è un grande attore, ho creato un personaggio composito che racchiude in sé diverse figure di medici contenute nel racconto. Ero sicuro che Bruno avrebbe saputo dare uno spessore al personaggio del dottore e ho avuto ragione. C’è stata un po’ di competizione per il ruolo della ‘Donna della stanza 6’, la sexy-spia nazista, ma alla fine ho scelto Alexandra Pirici, coreografa e danzatrice concettuale di grande bellezza e intelligenza. Un altro artista che mi ha molto colpito è stato Adrian Pintea, un noto attore rumeno che è riuscito a trasformarsi – e in modo assolutamente credibile – in un mistico indiano.
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