Quotidianità e conflitti italiani
La speranza e il quotidiano di Matteo Mazza ********
Tra le sequenze più significative di Giorni e nuvole assume un valore particolare quella in cui Michele è sul motorino per le strade di Genova a distribuire pacchi nei panni di un corriere . Una sequenza che dichiara esplicitamente uno degli aspetti più interessanti dell’intero film di Soldini: l’importanza dello sguardo intimo, cioè quello della comunicazione familiare, della distanza relazionale.
Una sequenza che rappresenta sinteticamente e simultaneamente la distanza relazionale tra padre e figlia, l’incomunicabilità tra padre e figlia (come tra marito e moglie del resto), la solitudine dell’uomo.
L’intero film, infatti, comunica il desiderio di penetrare nella vita, nel quotidiano, di Michele e Elsa, costruendosi sulla loro incomunicabilità. Anzi, sulla comunicazione scorretta all’interno della coppia. Il rapido declino della stabilità (economica, affettiva e relazionale) è fondato sul principio dell’apparenza, del “non ti preoccupare”, del “tanto andrà tutto a posto”. Proprio su questa serie di atteggiamenti, di apparenze, mezze verità e conseguenti mezze bugie, s’instaura una dinamica relazionale nuova, più debole, meno partecipata. Si assiste al declino della coppia che non prova più passione per l’altro, non guarda più l’altro, non lo cerca, non lo aspetta, non gli parla.
Un film che pare destinato a raccontare le distanze relazionali fin dall’incipit, dove una panoramica di Genova (successivamente altre inquadrature di Genova, del suo mare, del suo cielo, delle sue strade che sembrano vene, dei suoi palazzi che sembrano corpi gettati a terra, della sua luce e della sua ombra) mostra quanto sia determinante la distanza comunicativa tra due persone, che siano marito e moglie, padre e figlia, amici o colleghi di lavoro.
Il film è un campionario di relazioni, più o meno approfondite, delle quali Soldini prova con decisione a valorizzare il ruolo, senza mai dimenticare che è indispensabile non rimanere da soli, soprattutto, non pensare da soli.
Eppure si attende un po’ di sereno nel cielo di Genova e, invece, niente. Solo nuvole e giorni che passano. Tutto cambia, tutto si trasforma. Così vuole la natura, ma non le persone. Eppure il film è costruito sui cambiamenti, voluti o inaspettati, sul principio di sopravvivenza e sul desiderio del contare ancora qualcosa per gli altri. Per l’altro o per l’altra.
Giorni e nuvole declina nuovamente il senso dello smarrimento nel cinema di Soldini, che sembra assumere un significato fondamentale per comprendere il lavoro di questo regista. Questa volta non si assiste ad un vero e proprio viaggio, ad un passaggio, cioè, da un posto ad un altro. La città resta sempre la stessa (Genova era già stata ‘toccata’ da Agata e la tempesta), pesante e pressante, chiusa e senza varchi, liquida e rarefatta, lì in movimento, a guardare, come uno spettatore.
Eppure, nonostante la fissità del luogo, si continua ad entrare ed uscire dalle porte; si entra e si esce dalle case, dai ristoranti, dalle auto, pure perfino dalla vita delle persone. Come capita a Michele e Elsa che presi dallo sconforto, dal disagio, si isolano dalle amicizie e quasi rifiutano la presenza di una figlia ‘realizzata’.
Un legame indubbiamente forte, ma che fa nascere uno scontro causato dalla variazione dei ruoli: le figure responsabili per antonomasia si trovano, da un momento all’altro, nei panni di quelli che vanno aiutati, sostenuti, indirizzati. Un cambiamento di prospettive con il quale né Michele né Elsa riescono a convivere.
Di fatto, quindi, un film che racconta l’uscita da un corpo e l’entrata in un altro corpo. Anzi. Un film che racconta un cambio di prospettiva attraverso l’uscita da uno sguardo e l’entrata in un altro sguardo.
Un film coerente, genuino, onesto che parla al pubblico e racconta al pubblico l’oggi insostenibile, proprio perché fatto per il pubblico. Un film che ha voglia di sperare, che quasi suggerisce che le relazioni profonde e vere hanno solo bisogno di trovare la giusta direzione per proseguire. Solo…
Nuvolette per temporali di Francesca Bertazzoni *****
Il prepotente battage pubblicitario che accompagna Giorni e Nuvole forse confonde le idee: non siamo davanti a un film “sul precariato”.
Incredibilmente, in Italia ogni cosa sembra essere immediatamente fagocitata dalla politica: siccome a Venezia i film italiani sono stati una delusione, a Roma necessariamente dovrà presentarsi qualcosa di eccezionale, qualcosa di “molto bello”. Finalmente un “bel film italiano”.
Parrebbe tuttavia che sia La ragazza del lago di Molaioli, che Giorni e Nuvole di Soldini stiano andando bene in sala. Pare che entrambi siano dei buoni prodotti di genere: da una parte un noir sui generis, con uno stile televisivo rassicurante, dall’altra una classica commedia amara sui tempi che corrono, impreziosita da due attori ben calati nella parte.
Stando con i piedi per terra, i giorni e le nuvole sul cielo di Genova raccontano la storia di un amore che si incrina per l’incapacità di un uomo e di una donna di affrontare, insieme, i problemi economici che si trovano a vivere.
Ma né il realismo, né la politica, né una presunta critica sociale, o semplicemente una riflessione militante sull’oggi italiano, possono applicare al film di Soldini un valore aggiunto rispetto a ciò che la storia è: il racconto dell’amore e dell’incomunicabilità in una famiglia sull’orlo di una crisi.
Termini come “precaricato” o quotidianità” sono a dir poco fuori luogo in un film dove sono i giovani a far la parte dei leoni, realizzati e con una situazione economica stabile, mentre gli adulti, borghesi benestanti, possono permettersi di regalare 3000€ a un amico senza preoccuparsi di farseli restituire.
Forse davvero la riconoscibilità di Genova è secondaria rispetto alla suggestione di quei tramonti, di quelle strade raggomitolate, di quel tempo che sembra non passare mai, non schiarirsi mai.
Forse la voglia di essere raccontati degli italiani, per capirsi, si
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