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cultura dell'immagine e della parola

La mia prima volta
Venezia, last days

Arrivederci Venezia<br />(Foto di F.B.)” />Gli ultimi giorni non sono descrivibili. <strong>Tim Burton ha chiuso il mio personale festival ed è sempre così:</strong> il culmine, il punto più alto è l’ultimo respiro, apre uno sguardo sulla sua fine, una piccola morte racchiusa nell’eccitazione più completa. E sempre, trascina con sé un’estenuante malinconia.<br />
Solo ora, dopo aver lasciato l’isola del Lido e dopo aver guardato il mare che si apriva davanti a me, mi rendo conto di come siano confusi gli ultimi giorni, rotolati via tra una fame bulimica di immagini e una leggera consapevolezza: nella mia mente immagini, emozioni e film stanno lentamente scolorando.</p>
<p><strong>Il pugno più forte lo ha dato e ricevuto Marra:</strong> quei fischi insopportabili in sala e quella conferenza stampa superficiale, poco “critica” nel senso costruttivo del termine, mi hanno infiammato e deluso al tempo stesso; forse <em>L’ora di punta</em>, come ultimo film italiano presentato in concorso, sconta il peccato di non essere il Crialese di <em>Nuovomondo</em>. Forse una parte della critica (o di chi vuole semplicemente criticare) non trova originale un film sull’amoralità e la corruzione. Potrebbe essere, in un paese dove è normale pescare dalle tragedie della cronaca nera per costruirci sopra gli show di seconda serata, normale, in un paese dove, per qualche ragione che non posso conoscere, ma che sicuramente sarà fondata, l’Istituto Luce ha ricusato gli impegni per la distribuzione in Italia di <em>Disengagement</em> di Gitai.</p>
<p><strong>Una forte luce mi rimbomba nella memoria, quella che emanava <em>Año Uño</em> di Jonas Cuaron</strong>, un film di fotografie e di cuore, di grande bellezza e impegno artistico. Il regista, la sua compagna attrice e suo padre Alfonso Cuaron erano in sala, una fila dietro di me: non potrò scordare il suo volto di ventitreenne coperto da ricci biondicci, bagnato da qualche lacrima e strofinato nervosamente dalle sue mani magre.<br />
La verità è che a Venezia il contatto tra noi che amiamo vedere cinema e chi il cinema lo ama fare c’è, fortemente, è uno scambio palpabile di grandi emozioni. <strong>Non è il giudizio sterile che importa</strong>, ma l’incontro degli occhi, la permeabilità del cinema, che è in grado di accogliere nel proprio corpo ogni tipo di racconto e ogni tipo di rappresentazione, riuscendo a comunicare suggestioni così profonde da porsi al centro della vita di molti.</p>
<p>Ho riflettuto molto a Venezia, i suoi film sulla guerra, sulla paura, sul concetto di rappresentazione sono stati i più intensi, da De Palma a Haggis, dal documentario di Demme su Carter alle visioni dei muri che dividono di <em>La zona</em> di Plà, di <em>Exodus</em> di Woolcock, ancora di Demme sui muri di Gaza e della West Bank, di Gitai con <em>Disengagement</em> sulla divisione di una famiglia e sullo sbarramento dell’Istituto Luce, lo stesso muro che Marra ha trovato a Venezia, un muro che i personaggi di <em>It’s a free world</em> cercano di abbattere per trovare una posizione sociale e economica nel mondo del lavoro. Per qualche ragione questi film mi hanno fatto piangere, mi hanno fatto pensare che il nostro mondo e la nostra società vagolano in un abisso di odio, di più, <strong>questo cinema mi ha mostrato, con molti racconti, il potere che le immagini e chi le controlla hanno su di noi e sulla nostra visione della realtà</strong>: visione, sempre una visione, un’interpretazione che dobbiamo imparare e guardare e valutare.<br />
Più dei telegiornali, il cinema mi ha mostrato questo, che non è solo un gioco, che registi e critici hanno il dovere di stare sempre all’erta e non smettere di guardare, domandarsi, mettersi in discussione, perché le immagini che escono dallo schermo sono talmente potenti da riuscire a formare un’interpretazione del mondo.</p>
<p>Ora in treno penso che quando tornerò a casa avrò il dovere e il desiderio di alimentare questa fame di immagini che la Mostra mi ha dato in pasto, penso che non potrò essere indifferente mai, che il mio muro è stato abbattuto, che alcune barriere si sono infrante, per lasciare il passo a una voglia di vedere nuova. Per me, quello che è successo in questi dieci giorni è una cosa seria e vorrei tornare sulla terra ferma con quel ritmo infinito che hanno le onde quando si trascinano sulla spiaggia, continuando a scavare, con gentilezza, a cercare di arrivare più su, con una freschezza sempre caparbia e nuova ad ogni spinta.</p>
<p><strong>Bilancio</strong><br />
150 ore di ritardi accomulate<br />
89 euro di noleggio bici<br />
33 film visti<br />
15 vip visti<br />
6 amici cinefili guadagnati<br />
1 acquazzone preso</p>
				<p class= A cura di Francesca Bertazzoni
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