La mia prima volta
Venezia, giorno 8
Per qualche motivo è come se ora non fosse il momento, come se già non ricordassi più nulla di quella mezz’ora, come se il tempo speso per arrivare alla giornata di oggi si fosse mangiato quei preziosi minuti.
Eppure non credo che potrò dimenticare Tim Burton a pochi metri da me. Anzi, riavvolgendo il nastro: non credo che potrò dimenticare quel momento in cui era chiaro che “lui” sarebbe entrato nella sala: quando tutta la gente era già arrivata e stava in piedi nei corridoi laterali, quando la sicurezza prendeva possesso dei punti strategici, incrociando le mani in un gesto apparentemente pacificatore. Quando in un secondo i suoi capelli da folle sono spuntati fuori e sapevo che tutto, o quasi, sarebbe finito lì.
Stamattina per fortuna c’era il sole e alle sette e ventidue scendevo le scale con la borsa e il portatile, salivo sulla bici con l’Ipod nelle orecchie, pedalavo verso il Lido per essere una delle prima a entrate nella Sala Grande. Nightmare before Christmas, anzi, Tim Burton’s Nightmare Before Christmas forse non aveva bisogno di essere “tradotto” in 3-D, con questa fantastica tecnologia della Light & Magic di Lucas, ma certamente io avevo bisogno di sprofondare, letteralmente, dentro uno dei sogni magnifici di Burton. Toccare con mano Jack Scheleton e Sally, sentire come questi pupazzi di plastilina incantati dal cinema siano più che mai reali: chi ha bisogno di vedere dal vivo Adrien Brody (qualcuno direbbe Brad Pitt), quando posso avere Zero che mi scorrazza sugli occhi con il suo naso luminoso?
Alle undici siamo entrati nel salone delle conferenze stampa e ho assistito a cinque incontri: Gitai che maledice l’Istituto Luce, la protagonista di Mal nacida che mi affascina con la sua passione attoriale (tanto che non vedrà la Guzzanti per questo piccolo film portoghese), José Louis Guerin che racconta dell’amore per il cinema e per il suo En la ciudad de Sylvia, Miike San che, invece di rispondere alle domande (ma probabilmente non le capiva, perchè gliele traducevano in inglese), parlava come un cane pazzo, tra battute di spirito e butade su Tarantino.
Fino all’una e mezza ad aspettare, insomma, in prima fila, fingendo di essere interessata, per poi scoprire che qualche incontro intenso è accaduto davvero, inaspettato.
Perchè Tim Burton non è l’inaspettato che prende corpo davanti ai miei occhi, è il regista conosciuto che si mostra come un uomo cortese e emozionato, che sorride al lungo applauso che lo accoglie, con la bocca lievemente storta di chi un pò di ansia la prova ancora. I suoi famosi occhiali scuri gli coprivano il volto, penso per timidezza, in fondo, non per moda o vanità: in fondo tenero e profondamente normale come i suoi film, grato alle persone che lo ammirano, superstar per ciò che è riuscito a fare, non per l’atteggiamento davanti ai fan.
Fan stamattina lo eravamo tutti, molti lo hanno ringraziato per un cinema che fa innamorare ogni volta, che ci lascia spazio per implodere nelle emozioni, che ci racconta delle favole belle, fatte di luce, pellicola e riccioli. Sì, avrei voluto chiedere qualcosa, ma poi dentro di me pensavo: «Mi interessa veramente sapere se Burton girerà un film ispirandosi alla storia d’amore tra la Von Teese e Manson?». No, non così tanto. Quello che vorrei è forse solo un contatto visivo, guardare negli occhi una persona che per me è un grande artista, che mi parla ogni volta che sono al cospetto del suo cinema.
Alla fine la sua voce ferma ma pacata ha salutato la sala e in molti, me compresa, ci siamo precipitati verso di lui, chi per una foto, chi per un autografo. Un autografo, che cosa inutile, che diavolo me ne faccio di una strisciata di inchistro anonimo e irriconoscibile? Una foto forse, meglio catturare quel momento e portarmi a casa un pezzo dell’anima di Tim Burton. Ma la gente spingeva e si accalcava, le foto venivano tutte mosse, non vedevo nulla. Mi sono sentita stupida, come se stessi mediando quell’attimo di vicinanza attraverso lo schermo della macchina fotografica, perdendomi, inveitabilmente, dei pezzo di realtà. Così ho smesso di guardare “attraverso” e sono stata qualche minuto a osservare Tim Burton davanti a me, vedendo non vista, come se fossi stata al cinema. E in quel momento ho visto bene.
A cura di Francesca Bertazzoni
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