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cultura dell'immagine e della parola

La mia prima volta
Venezia, giorno 1

Keira Knightley sulla passerella al LidoArrivare dal mare è un po’ come approdare in un nuovo mondo. Al Lido di Venezia è solo un’impressione, molto concreta però.
Passo in mezzo alla gente carica di valige, direttamente dalla stazione, circolo quasi noncurante della stanchezza e del caldo umido che si respira, tra le transenne che dividono il mondo vero da quello della Mostra Internazionale d’arte cinematografica. Poso le valige al deposito, due ragazzoni mi dicono di farle passare nel rullo del metal detector, ma no, non mettere le mani dentro, altrimenti le vediamo solo a metà. Ecco, appunto, dobbiamo rifare. Penso che accidenti, ho già toppato.

Esco e sono di nuovo per la strada libera da macchine e gremita di bici e persone che camminano in tutte le direzioni, come se sapessero esattamente dove devono andare. Fingo anch’io e mi dirigo al Palazzo del Casinò, dove devo ritirare il mio accredito stampa. Giallo per me, appena prima del verde, insomma, penultima in graduatoria, dopo il rosso e il blu: c’è bisogno di un semaforo speciale per regolare l’assalto ai luoghi e alle sale della mostra.
Ma il mio giallo è già una piccola conquista: me ne rendo conto quando passo attraverso il gate di sicurezza, prima di salire i gradini del Casinò: mi fermo un momento, guardo, il palazzo si alza davanti a me così severo, orizzontale e fascista, sembra scrutarmi dalle vetrate… ma è aperto, per me. Respiro, incerta se vivere quest’emozione o reprimerla, se fingere di essere un habitué o se mostrare il mio sorriso eccitato e gli occhi lucidi. Ma ho gli occhiali da sole, non me ne preoccupo e poi comunque nessuno bada a me: sono come tutti gli altri, per una volta mi sento nel posto giusto, dove dovrei essere, fuori dal mondo, in un certo senso, ma contemporaneamente a casa.

Iniziare a girare con il mio cartellino appeso al collo è facile, è come essere talmente bella che anche senza conoscerti le persone ti sorridono comunque. Si mangia qualcosa, di molto caro, ovviamente, si consulta il programma, si decide di cosa godere oggi: Kitano, Glory to the film maker! per iniziare e come inizio non c’è male davvero. Un film così delirante e irrazionale che in questa situazione atipica, in questo luogo/atmosfera pieno di cinema sembra quasi logico. Non è solo questo comunque, non è solo il cinema, anche se tre film in cinque ore sono una buona media, buona per far luccicare di libidine in miei occhi. È la sorpresa di uscire da una sala buia e quasi vuota, dove ho appena visto il pessimo rockumentary sui Negramaro, Dall’altra parte della luna, e ritrovarmi, senza capire come, a fianco di uomini in smoking (uno di loro agghindato di bianco, povero lui) e guardie eleganti. Chiedo a una di loro dov’è la sala stampa, ma questo mi sorride dicendo che non lo sa proprio. L’uscita principale è sbarrata da un cordone di poliziotti in alta uniforme, le transenne racchiudono il tappeto rosso…

Improvvisamente mi rendo conto di essere dove non dovrei, nel Palazzo del Cinema appena prima dell’inizio della serata inaugurale: davanti a me il red carpet spolverato da stretti e lunghi vestiti lucidi, fuori i fotografi gridano, appoggiati come vasi a una pensilina con i gradini, gridano come bestie infoiate cose e nomi che non comprendo, qualcuno di loro sembra litigare con quello davanti che gli copre la visuale. Una rabbia famelica di flash che fa a pugni con il sorriso rilassato e la presenza leggera di Keira Knightley che mi passa davanti come una nuvola casuale, sorride come se fosse felice davvero, scivola via magrissima, l’andatura sana su due gambe che la sostengono con naturalezza. Mi chiedo se sorrida perchè per felicità o per lavoro, ma poi penso che una donna così bella non può essere infelice.

Qualche ora dopo mi incupisco mentre guardo Lo chiamavano Trinità, perchè vengo a sapere che davanti a me era passata anche Vanessa Redgrave e io non l’avevo riconosciuta. Sono forse stata presa dalla festivaliera leggerezza del vedere, guardare, spiare? Beh, ammetto di sì: presa nel senso di rapita, conquistata, posseduta, ma appena goduta.

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