La finestra sul… portatile
Decisamente ispirato a La finestra sul cortile (Rear Window, 1954), Disturbia omaggia il capolavoro di Alfred Hitchcock pur senza offrirne una copia sciatta e sbiadita, com’era successo per il deludente remake realizzato nel ’98 da Jeff Bleckner, in cui brillava la sola interpretazione di Christopher Reeve. Il regista D.J. Caruso, infatti, attento a non ricalcare pedissequamente il film del maestro del brivido, tanto per cominciare non affida i ruoli principali a dei protagonisti adulti, ma a due adolescenti: Kale, la stella nascente Shia LaBeouf, di cui, data la bravura, sentiremo parlare a lungo, e Ashley, l’attraente ed espressiva Sarah Roemer, la stessa di The Grudge 2 (id., Takashi Shimizu, 2006).
Un’accoppiata giovanile che si rivela una scelta azzeccata soprattutto dal punto di vista psicologico. Perché Kale, divenuto ansioso dopo l’improvvisa morte del padre e condannato agli arresti domiciliari per aver aggredito un professore, non è certo credibile, né per la madre né per la polizia, quando sostiene che un vicino di casa, Mr. Turner, si comporta come un serial killer. In più, il modo ossessivo con il quale Kale svolge le sue “indagini”, spiando con binocolo e videocamera ogni mossa degli inquilini di fronte a lui, lo fa apparire ulteriormente in difetto come violatore della privacy, dapprima anche agli occhi della coetanea Ashley. Per cui, psicologicamente, tutto sembra giocare a favore di Mr. Turner, con Kale costretto a infittire le sue spiate non solo per smascherare il misterioso vicino, ma anche per riconquistare la fiducia di Ashley, della madre e di un’intera collettività, in quel momento rappresentata dalla polizia. Un’impresa che appare davvero impossibile. In tal senso perfettamente sovrapponibile a quella del mite fotoreporter Jeff Jeffries (James Stewart) e della sofisticata Lisa Freemont (Grace Kelly) della pellicola hitchcockiana, ma con l’aggravante, in Disturbia, delle problematiche che Kale e Ashley soffrono vivendo un intenso conflitto generazionale, dal quale non ricavano alcun credito solo perché adolescenti.
Una condizione frustrante che, tra le righe ma neanche tanto, ci parla di disgregazione famigliare, di genitori incapaci di dialogare con i figli e di uno scollamento generalizzato tra società adulta e giovanile, che non permette alcun tipo di interazione positiva. Uno spaccato sociologico di diaspora tra generazioni distanti che nel film ha un ulteriore, emblematico riscontro: la cavigliera elettronica, con controllo satellitare della posizione, tramite la quale Kale, controllato dalla polizia, ha libertà di movimento solo per pochi metri oltre la soglia di casa. Mr. Turner lo sa, e giocando sullo stato di inferiorità psicologica del ragazzo, pur sapendo di essere spiato, infierisce sulle debolezze di Kale insidiandone la madre Julie (un’algida Carrie-Anne Moss) proprio nella casa dell’adolescente.
Ed è da qui che l’atmosfera psico-thriller si fa più intensa. Perché Kale, da quel momento, dovrà inchiodare il signor Turner non solo per il forte sospetto che sia un serial killer, ma soprattutto perché la presunta follia omicida del vicino potrebbe abbattersi sulla madre. Così, anche il film cambia ritmo e registro. Dalle ostinate inquadrature di interni della casa di Kale, sempre intento a spiare in mille modi Mr. Turner, la macchina da presa si rivolge con sempre più insistenza all’esterno, seguendo le rapide incursioni sia di Kale che di Ashley, verso un finale non propriamente originale ma ugualmente avvincente. Un epilogo ovviamente a lieto fine, in cui Kale gioca ancora la carta della disobbedienza, ma, stavolta, paradossalmente, per consegnare un assassino alla giustizia e per riconquistare la fiducia della madre nonché di se stesso.
Siamo quindi distanti da quello che François Truffaut definì “un film sul cinema”, riferendosi all’opera di Sir Alfred e alla chiara assonanza tra le finestre e lo schermo cinematografico, perché nella pellicola di Caruso sono i mezzi usati da Kale, specialmente la videocamera, il Pc e il cellulare, a fornirci la chiave di lettura non solo del film, ma di un’intera società, la nostra, che ha tanti nuovi modi di comunicare con gli altri, ma che ha un’enorme difficoltà nell’essere ascoltata e compresa da chi gli dimora accanto.
A cura di Osvaldo Contenti
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