Le fregole giovanili del giovane Harry
Torna Harry Potter con la sua quinta avventura cinematografica. Insieme al maghetto ritroviamo l’amico Ron, l’amica Hermione, Albus Silente e tutti i personaggi inventati dalla penna di J.K.Rowling. Una saga che ha ormai assunto le tinte del mito e che vanta oltre trecento milioni di lettori in tutto il mondo. Un esercito agguerrito composto da bambini e adolescenti, ma anche da tanti adulti, che si riversa nei cinema desideroso di ritrovare l’atmosfera e i personaggi che tanto ha amato sulla carta.
Non è ironico che in un mondo dove i divertimenti sono sempre più tecnologici, molti bambini abbiano trovato il loro eroe in un libro? E proprio per questo grande attaccamento ai romanzi della serie che a ogni uscita di uno dei film della serie arriva implacabile il giudizio: era meglio il libro? È meglio il film? In pratica Harry Potter potrebbe essere considerato il più grande caso di “ti aspetto al bivio dell’adattamento” dai tempi di Via col vento (Gone with the Wind, Victor Fleming, 1939).
Nei film precedenti il lavoro degli sceneggiatori è stato dignitoso, nonostante i molti buchi presenti, soprattutto nel penultimo Harry Potter e il calice di fuoco (Harry Potter and the Goblet of Fire, Mike Newell, 2005). Cali di ritmo, troppe divagazioni, incongruenze, eppure il mondo della Rowling fatto di neologismi e magie è sempre stato riportato fedelmente. In quest’ultimo Harry Potter e l’ordine della fenice invece, l’adattamento non è all’altezza, complice sicuramente il poderoso tomo da cui è tratto (807 pagine). Lo sceneggiatore Michael Goldenberg ha cercato di rimanere troppo fedele e, cercando di non rinunciare a niente, non è riuscito a creare una storia omogenea e coerente. È come se avesse cercato di inserire il maggior numero di elementi per evitare accuse dai fan di aver eliminato questa o quella parte. E alla fine, agli occhi dello spettatore, soprattutto di quello che non ha letto il libro, molte motivazioni si perdono, molti eventi accadono velocemente, molti personaggi non sono descritti e la profezia finale risulta quasi incomprensibile.
Ma di cosa parla Harry Potter e l’ordine della fenice? I temi fondamentali sono due: la paura e le sue ripercussioni sulla politica e i turbamenti adolescenziali del giovane Harry. Nel tourbillon degli eventi però nessuno dei due viene davvero sviscerato. La caccia alle streghe scatenata dal Ministro Caramel e dalla professoressa Umbridge è fastidiosa nel suo essere macchiettistica, mentre l’attrazione di Harry nei confronti della bella Cho è liquidata troppo velocemente con qualche battuta degna di un telefilm americano per adolescenti.
Dispiace, anche perchè i tre giovani protagonisti sono cresciuti e lo è anche l’immaginario nel quale sono collocati. L’inizio del film ha un’atmosfera horror davvero ben riuscita (adatta anche ai bambini), che poi purtroppo scade nel solito finto gotico fino a un finale quasi barocco. Poi c’è il tanto strombazzato e atteso primo bacio di Harry che, nonostante sia proprio il primo, è fin troppo impacciato. «Come è stato?» chiederà Hermione. «Umido» risponderà Harry, riportandoci indietro di oltre vent’anni ai tempi di Rain Man (id., Barry Levinson, 1988). Meglio dunque godersi la fastidiosa recitazione tutta sopra le righe di Imelda Staunton, nella parte della nuova rettrice della scuola Dolores Umbridge, che spadroneggia e lancia editti in nome del Ministero della Magia come fosse una versione moderna e femminile di Nerone (anche se è facile immaginare che la Rowling si sia ispirata ad altri capi di stato più moderni).
Un film per fan che lascia gli altri spettatori a guardare per due ore e venti un acquario in cui molti personaggi si muovono, facendo succedere cose che voi “babbani” non riuscite neanche a nominare.
A cura di Sara Sagrati
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