I primi eroi del cielo
In una Francia in cui il primo scontro mondiale aveva, ormai, temibilmente preso piede nella vita di tutti, trova spazio una sceneggiatura grazie alla quale è possibile riscoprire la vera storia dei primi giovani aviatori americani che, quasi gettati in una guerra che non era la loro, “insieme trovarono la forza per scoprire il loro valore”.
Già produttore di pellicole memorabili come Taxi driver (id., Martin Scorsese, 1976) e La stangata (The sting, George Roy Hill, 1973), Tony Bill non si fa certo trovare impreparato davanti alle difficoltà di un film come Giovani aquile, portando in scena tutta la realtà della Guerra: una storia probabilmente già vissuta in altre pellicole e un amore quasi interamente dato per scontato, ma malgrado questo un argomento solitamente trascurato come quello delle battaglie aeree riesce ad animare il lungometraggio e a non annoiare mai lo spettatore, grazie a una sceneggiatura ricca e ben articolata. I personaggi, seppur resi un po’ scontati dalla scelta dei ruoli, stereotipi dei film di guerra (il disadattato che fugge dal passato, il ribelle che cerca giustizia nella vita, chi cerca di seguire l’orma dei predecessori, chi dalla stessa famiglia è stato mandato a combattere), appaiono comunque ben preparati, grazie anche al duro “addestramento” a cui si sono dovuti sottoporre i protagonisti. Ognuno di loro, (da James Franco a Martin Henderson, non sottovalutando Jean Reno) riesce a dare la giusta verve al personaggio, portando in scena emozioni e vite completamente diverse, riuscendo a mettere in evidenza il loro punto di contatto: il desiderio di libertà che li ha portati in guerra per difendere una nazione.
La riproduzione, quanto più fedele possibile, del quadro globale in cui naque la Squadriglia, può essere considerata sicuramente uno dei punti di forza del film. Questo è stato reso possibile dai molti reperti storici ottenuti dall’Imperial War Museum e dalla biblioteca dell’appassionatissimo regista, così come la scelta (riuscita) di giovani attori, per sottolineare, se mai ce ne fosse davvero bisogno, la drammatica aspettativa di vita di un soldato di quel tempo. Anche la scenografia, come del resto la scelta degli abiti di scena e la ricostruzione dei modelli originali degli aerei (realizzate anch’esse dal ricorso alla documentazione disponibile) ha inoltre contribuito a dare un tocco di originalità. Un ulteriore supporto alla qualità della pellicola è fornito, oltretutto, dall’utilizzo di una nuova macchina da presa, la Genesis (reduce dagli ottimi risultati di Apocalypto – id., Mel Gibson, 2006), che ha permesso alla regia di lavorare con qualsiasi condizione di luce, mettendo fine definitivamente a tutti i limiti dati dell’illuminazione artificiale. E, nonostante l’argomento non sia esattamente dei più leggeri (e la pellicola delle più corte), il film riesce a mantener viva l’attenzione (ringraziando il cielo il finale non è del tutto scontato) e a emozionare. Centoquaranta minuti che volano.. in tutti i sensi.
A cura di Cristina Calzetta
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