Un romanzo di ricordi, un romanzo da ricordare
Siamo negli anni Sessanta dell’ultimo secolo del secondo millennio. Dopo una lunga separazione, Riccardo rintraccia suo padre Vincenzo allo scopo di ricostruire la storia della sua famiglia. Gregorio, Alvarez, Vincenzo, Riccardo, il ricordo come lungo flusso di memoria che si risveglia e affronta, nel racconto di cui l’ultimo destinatario è Mattia, i passi dolorosi di una vita straordinaria in tempi straordinari. Sullo sfondo, il resoconto “giorno-per-giorno” di uno sciopero condotto da inaspettate manifestanti che lottano per conquistare un ruolo da protagoniste di vite che sono le loro e di cui non intendono affidare la stesura a nessuno. Questa, in sintesi, la vicenda de L’eterno giovedì, secondo libro di Pierfrancesco Majorino. Il ruolo che i meccanismi e i gorghi della memoria giocano in questo romanzo lo rendono un testo estremamente originale all’interno del panorama letterario attuale. E’ davvero un libro maturo, con una voce narrativa nitida che guida il lettore e districa l’intreccio; è un gomitolo che una mano sapiente scioglie, mantenendo il filo ad accompagnare ogni pensiero. Pierfrancesco è scrittore coraggioso, come ha avuto anche modo di sottolineare Giuseppe Genna, curatore di nazioneindiana.com.
La storia o, meglio, le storie che riempiono il libro, sono liriche e intense: L’eterno giovedì è uno di quei romanzi da rileggere per sottolinearsi le frasi che emozionano di più, che veicolano un messaggio e, in qualche modo misterioso, aggiungono un pezzo al cosiddetto miglioramento del mondo.
E il titolo di “miglioratore del mondo” con cui mi piace appellare Pierfrancesco si riferisce al concetto hessiano di chi, silenziosamente, aggiunge un pezzo di cielo a un po’ di buio. Tante sono le suggestioni offerte: da Quarto potere con la costruzione a incastro a I sentieri dei nidi di ragno per la passione civile con cui viene raccontata la lotta partigiana. Il fruscio dell’inquietudine della società contemporanea, oscurata dall’ombra di un Grande Fratello, si avverte nell’atmosfera di tensione malinconica che permea le pagine riferite ai tempi più vicini a noi, e fa pensare più a Fahreneit 451 che a 1984. Il racconto della fuga di Gregorio durante la seconda guerra mondiale, poi, è davvero ispirato: leggendolo e rileggendolo, c’è da meravigliarsi per tanta semplicità nel fare poesia.
Riprendendo quanto detto da Moni Ovadia a proposito di L’eterno giovedì, la prima sensazione è quella di una sana agguerritissima invidia per chi, essendo avvezzo alla buona scrittura, intuisce di avere tra le mani un testo poderoso. La lingua di Majorino è infatti nitida e poietica, una di quelle ancora in grado di creare un mondo dentro il quale, accettatene le regole, il lettore ama perdersi.
In conclusione, L’eterno giovedì ha proprio “gli occhi che tagliano il vento” e l’intensità di tante storie fatte di Storia e che la fanno. Si vede che per Pierfrancesco la scrittura è piacere.
Così come sarà un piacere, per chi ne ha la possibilità, leggerlo.
L’autore
Pierfrancesco Majorino è nato a Milano nel 1973. Consigliere comunale dell’Ulivo, ha pubblicato il romanzo Dopo i lampi vengono gli abeti con la Pequod nel 2005.
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