Cannes: giorno 5
Chacun son cinéma
Il quinto giorno di Festival a Cannes è stato all’insegna della celebrazione per il sessantesimo compleanno della manifestazione. Una tappa importante che è festeggiata con la proiezione del film collettivo, Chacun son cinéma (A ciascuno il suo cinema). Si tratta di un collage di 33 cortometraggi di circa tre minuti ciascuno, che lo stesso Festival ha prodotto, al costo di venticinquemila euro per ognuno. Ogni cortometraggio è firmato da un grande autore del cinema internazionale e a montare il tutto ci ha pensato lo stesso presidente del Festival francese, Gilles Jacob. A partecipare sono stati 35 grandi registi, scelti tra le ex Palme d’ oro e gli ex presidenti della giuria, tra cui campeggiano gli illustri nomi di Angelopoulos, Zhang Yimou, Cronenberg, Kaurismaki, Loach, Inarritu, Polanski, Wong Kar Wai, De Oliveira, Jane Campion, Wenders, Von Trier, Nanni Moretti, i Coen, i Dardenne e molti altri. Inizialmente ne erano stati chiamati 40 ma cinque autori hanno declinato l’invito (Quentin Tarantino, Francis Ford Coppola, Pedro Almodovar e Martin Scorserse) per impegni già presi o vezzi da star. Il tema comune su cui i registi si sono cimentati era la sala cinematografica che ognuno ha raccontato a suo modo. L’opera complessiva è stata dedicata a Federico Fellini. Il più applaudito è stato Walter Salles ma il più poetico si è rivelato Kiarostami. Pessimisti sul futuro del cinema si sono dimostrati David Cronenberg e Ken Loach. Quest’ultimo ha raccontato nel suo cortometraggio di un padre e di un figlio che, dopo molte indecisioni, scelgono di andare allo stadio piuttosto che al cinema. Wim Wenders ha girato il suo contributo in Congo mostrando un gruppo di adulti e bambini rapiti da uno schermo. Konchalovsky rievoca nel suo corto Otto e mezzo e Gus Van Sant immagina un bacio tra una diva del cinema e uno spettatore che entra nello schermo. Per l’Italia, c’è Nanni Moretti con il suo Diario di uno spettatore in cui il regista parla di se stesso, di suo figlio e dei cinema romani. Angelopoulos in Tre minuti omaggia il grande Marcello Mastroianni. Il sentimento comune che serpeggia un po’ in tutti i lavori e che è emerso durante la conferenza stampa è quello di rimpianto verso i fasti del passato e di amarezza nel vedere le sale cinematografiche sempre più vuote. Durante la conferenza stampa si è verificato poi un vero colpo di teatro che ha visto protagonista Roman Polanski. Il regista, infastidito dalle domande dei cronisti, ha sbottato esclamando «La povertà delle vostre domande in un’occasione del genere mi lascia sconcertato, francamente a questo punto è meglio smettere e andare tutti al buffet» e poi ha lasciato la sala.
Tra i film in gara ha debuttato Tehilim (Salmi) del regista marsigliese Raphael Nadjari, che ha suscitando l’interesse della stampa internazionale (in generale, nonostante la modesta realizzazione, è stato apprezzato l’intento). La pellicola si colloca al limite con il documentario e racconta la storia di una famiglia di Gerusalemme, composta da un padre autoritario, una madre e due figli adolescenti, uno appena diciassettenne e l’altro dodicenne (interpretati da due giovani attori non professionisti). Il padre scompare misteriosamente a seguito di un incidente d’auto e la sua assenza fa precipitare la famiglia in uno stato di caos senza più punti di riferimento e problemi economici. Il figlio maggiore si chiude in se stesso e abbandona il liceo, gli amici e il primo amore, non riuscendo a trovare un senso nella nuova situazione in cui versa la sua famiglia. A sostenerlo ci pensano lo zio e il nonno, due figure ultra-religiose. Lo smarrimento e la tristezza del protagonista sono il filo conduttore del film. Dopo Avanim (sempre girato in Israele), il regista continua a tenersi stretti i valori dell’ebraismo e della famiglia.
E’ stato presentato nella sezione speciale Le Certain Regard, l’unico film italiano del Festival, Mio fratello è figlio unico di Daniele Lucchetti. Il regista e i due protagonisti del film (Elio Germano e Riccardo Scamarcio) hanno vestito i panni insoliti di portabandiera del cinema italiano. L’Italia è infatti la grande esclusa di questo Festival con nemmeno un film in concorso. Mentre Germano rimane colpito per la grande attenzione che i mass media francesi riservano al cinema, Scamarcio si stupisce del fatto che nessuno lo riconosca. C’è soddisfazione però per questa pellicola che ha ricevuto un’ottima accoglienza alla prima per la stampa. Il produttore Riccardo Tozzi di Cattleya non manca però di polemizzare dicendo: «Molti giornalisti stranieri, com’era già accaduto con la stampa italiana si sono chiesti perché questo film non rappresenti l’Italia in concorso al Festival». Secondo Lucchetti è tutta colpa dei troppi pochi film che l’Italia riesce a produrre, usufruendo degli scarsissimi finanziamenti statali. Il produttore parla già della vendita dei diritti del film in Gran Bretagna e in Spagna, mentre il 12 settembre uscirà in Francia in ben 150 copie. Il film s’ispira al romanzo Il Fasciocomunista di Antonio Pennacchi e racconta la vicenda di due fratelli che vivono a Latina tra gli anni Sessanta e Settanta e aderiscono a due correnti ideologiche opposte (l’uno al fascismo e l’altro al comunismo).
A cura di Caterina Danizio
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