La sottile linea della tensione
Ispirato a fatti realmente accaduti, Breach – L’infiltrato concede ben poca soddisfazione a chi si reca al cinema con il proposito di assistere a effetti speciali all’avanguardia e a scene da spy story del nuovo millennio. L’ultimo lavoro di Billy Ray, infatti, si stacca nettamente da pellicole quali, ad esempio, gli ultimi 007, densi di sparatorie e inseguimenti mozzafiato. Lo scopo del regista sembra essere, invece, per lo più quello di spiazzare lo spettatore, sfruttando un sottilissimo gioco psicologico sulle personalità dei soggetti, creando una contrapposizione in ogni loro aspetto e dando vita, in un certo qual modo, a una struttura duale del personaggio: mentre l’agente O’Neill si lascia immediatamente ammaliare dall’ingannevole facciata del superiore, arrivando persino a mettere in dubbio la veridicità dell’indagine e delle accuse mosse, l’astuto Hanssen viene rappresentato come un uomo in costante apprensione, diffidente fino alla paranoia. Quello che ne scaturisce è una chiara (per quanto non troppo approfondita) contrapposizione tra il bene e il male, identificabile nella differenza d’animo dei due protagonisti.
Impostato inizialmente come un susseguirsi piuttosto lento di avvenimenti, nell’attimo in cui viene svelata la verità, il film subisce un cambiamento repentino e le indagini assumono un ritmo più serrato, denso di colpi di scena. Affiancato da una ben predisposta scenografia, il regista de L’inventore di favole (Shattered Glass, 2003) passa l’esame a pieni voti, grazie soprattutto alla sua capacità di non far apparire inutile nemmeno una conversazione e di tenere desta l’attenzione dello spettatore in ogni scena.
Tutto il film, infatti, è costruito su una sottilissima linea di tensione, che mantiene il pubblico con il fiato sospeso, pur avendo conosciuto il finale già dai primi minuti della pellicola. L’impostazione è saggiamente conservata anche nel finale: pur essendo al corrente delle colpe e delle responsabilità dell’agente che per anni mise in scacco i servizi segreti degli Stati Uniti d’America, l’incalzare di sempre nuove considerazioni non fa che fomentare dubbi e incertezze, soprattutto per quanto riguarda i motivi che spinsero il protagonista a voltare le spalle al proprio paese. In questo modo, Rey lascia nelle mani dello spettatore la possibilità di prendere posizione davanti alla situazione che gli si prospetta: un colpevolismo senza eccezioni oppure la comprensione nei confronti di un uomo che, schiacciato dalla vita e dalle circostanze, non trova riscatto se non nell’inganno.
A cura di Cristina Calzetta
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