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cultura dell'immagine e della parola

Fantasmi in scena: da est a ovest

Figure fluttuanti non completamente opache alla luce, a volte addirittura avvolte da lenzuoli, aleggiano nello spazio, passando attraverso oggetti e pareti. Si tratta di entità impalpabili, chiarissime (quasi trasparenti) tanto da avere i lineamenti del viso e del corpo leggermente sfuocati. E pensare che queste sono solo alcune delle possibili modalità che i cineasti hanno scelto per rappresentare sullo schermo quelle entità che chiamiamo “fantasmi”, nella ricchissima filmografia che li prende a soggetto. Fin dall’inizio della sua storia infatti il cinema si è nutrito avidamente dei tormenti di questi personaggi senza pace e affidandosi ai suoi effetti speciali ha cercato di attribuire un’immagine all’idea di fantasma. Ma cosa si intende precisamente con questo termine? Il fantasma inteso inizialmente come qualsiasi manifestazione soprannaturale, è venuto a indicare con il tempo l’apparizione di un defunto che si rende visibile, attraverso i propri connotati fisici, nel mondo terreno. Prima di appartenere alla cultura cinematografica però la figura dello spettro era già molto presente nelle storie e le leggende popolari di ogni luogo. Ma non si può parlare di fantasmi e spiriti senza fare un accenno alla cultura orientale. L’Asia vanta infatti un patrimonio di miti e leggende quasi superiore a quello dell’Occidente. In tempi recenti, grazie ai notevoli contatti tra culture, è stato possibile rintracciare punti d’incontro tra le due tradizioni fantastiche, che comunque rimangono ben distinte l’una dall’altra. Ciò che fondamentalmente distingue le due civiltà è il fatto che in Asia è ben radicata la convinzione che fenomeni sovrannaturali come fantasmi, vampiri e lupi mannari siano reali (credenza che porta le persone a ossequiare e a temere la vendetta degli spiriti). Sì perché i fantasmi, protagonisti degli horror nipponici e più in generale delle leggende orientali, sono mossi soprattutto dal sentimento della vendetta, da una rabbia indiscriminata o addirittura dal semplice piacere di uccidere.<i>The grudge</i>” /></p>
<p>In Giappone, la tipologia di fantasma più comunemente rappresentato al cinema è quello di una donna dai lunghi capelli scuri, pallidissima in volto e con un solo occhio visibile e l’altro perennemente chiuso. <strong>I fantasmi giapponesi sono chiamati “obake”, parola che ha il significato di “qualcosa che prende una diversa forma, che diventa altro”</strong>. E’ diventata un’abitudine statunitense, da qualche tempo, la tendenza di realizzare remake di film giapponesi girati solo pochi anni prima, talvolta, affidandosi alla medesima regia, per adattare successi del Sol Levante alla cultura americana. E’ il caso di <em><A href=The grudge, remake americano di Ju-on del regista nipponico Takashi Shimizu, che firma anche la versione statunitense. In questa pellicola ritroviamo molti degli elementi più tipici delle ghost-story orientali (una casa infestata da spettri morti innocenti violentemente, che vagano uccidendo per disperazione e rancore). Un altro esempio di questa tendenza è rappresentato da The ring di Gore Verbinski, rifacimento di Ringu, diretto da Hideo Nakata, un film che aggiunge al tema dei fantasmi quello del terrore, tutto nipponico, proveniente dai mezzi tecnologici come tv, cellulari, computer.

Non tutti i fantasmi sono però consapevoli della propria condizione o sono alla ricerca di vendetta, come quelli giapponesi. Alcuni spiriti hanno rimosso (secondo un meccanismo che si potrebbe definire freudiano) l’evento traumatico della morte e hanno continuato a comportarsi come se fossero ancora vivi. In questi casi, pur trattandosi di spettri, queste entità sono rappresentate visivamente allo spettatore esattamente come gli altri personaggi, creando l’ambiguità visiva necessaria al colpo di scena finale. Il pubblico infatti scopre la verità nel momento stesso in cui la <i>The others</i>” />scopre il fantasma, e tutte le sue certezze crollano in un istante, insieme alla convinzione di trovarsi in una posizione di onniscienza. Su questo inganno si costruisce la trama di <em>Il sesto senso</em>, del regista indiano M. Night Shyamalan, il cui protagonista, uno psicologo infantile, viene colpito in pieno petto da un suo ex paziente e da quel momento non si sente più lo stesso. L’uomo si prende a cuore il caso di Cole, un bambino di nove anni che gli confida di riuscire a vedere e a sentire le persone morte. Similare per certi aspetti a <em>Il sesto senso</em> è <em>The others</em> di Alejandro Amenabar, che capovolge il punto di vista da cui di solito lo spettatore si pone nell’osservare i fenomeni paranormali. Gli “intrusi” che danno il titolo al film in questo caso non sono gli spettri ma i vivi, ossia i nuovi proprietari della villa vittoriana, avvolta nella nebbia, che fa da location al film. </p>
<p>Ma <strong>i fantasmi non devono fare necessariamente paura e non sono necessariamente cattivi e mal intenzionati</strong>. Possono avere semplicemente una faccenda in sospeso che li trattiene in una specie di limbo e non li permette di godere della beatitudine eterna dell’aldilà. Nel film <em>Ghost – Fantasma</em> di Jerry Zucker, il protagonista Sam Wheat è ucciso a bruciapelo da un uomo che ha appena tentato di derubarlo. Dopo la morte, l’uomo diventa un fantasma dai contorni luminescenti e spinto dall’amore per la fidanzata Molly cerca in tutti i modi di mettersi in contatto con lei, coinvolgendo nell’impresa anche una medium. L’anima di Sam riesce finalmente a trovare pace, una volta smascherato il colpevole della propria ingiusta morte. Si ispira a <em>Ghost</em> (per ammissione del regista Lamberto Bava) il film <em><A href=Ghost son. Anche in questo caso, come nel precedente, è il sentimento dell’amore a trattenere il fantasma all’interno della realtà terrena. Ma c’è di più. [img4]Nell’esperienza onirica la protagonista, Stacey, ha la possibilità di ricongiungersi al marito defunto. Il sogno arriva a confondersi e addirittura a fondersi con la realtà, creando una via d’accesso tra due mondi che divengono paralleli. E poi c’è il bambino, la cui nascita è avvolta nel mistero, che diventa un veicolo per altre presenze sinistre.

E se la scienza continua a ritenere queste manifestazioni paranormali come semplici “variazioni di campo magnetico” mentre gli orientali sono convinti si tratti di vere e proprie realtà tangibili da prendere sul serio, noi possiamo anche scegliere di non aderire a nessuna delle due posizioni, mantenendo comunque intatto il fascino che i fantasmi esercitano da sempre sulla nostra immaginazione.

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