Intervista a Milos Forman
Con i due Oscar per Qualcuno volò sul nido del cuculo e Amadeus, Milos Forman è uno dei registi più premiati e apprezzati degli ultimi quarant’anni. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’uscita del suo tredicesimo film, L’ultimo inquisitore.
Da dove deriva la scelta di un personaggio come Francisco Goya?
In realtà non avevo cominciato pensando proprio a Goya. Tutto era iniziato dalla lettura fatta mentre frequentavo la scuola di cinema di un libro sull’Inquisizione Spagnola e nella fattispecie ero rimasto colpito dal racconto di un episodio in cui una persona era stata accusata ingiustamente di un reato. La cosa che mi attraeva particolarmente di quel periodo era che con tutti i suoi paradossi e con tutti i cambiamenti in corso, rifletteva molto da vicino i tempi che io stesso avevo vissuto: la società democratica, la società nazista, i comunisti e poi di nuovo la democrazia. Una situazione piuttosto simile a quella che era la Spagna all’inizio del XIX secolo. Il Re Carlo rappresenta la vecchia guardia quando all’improvviso Napoleone invade il paese e porta il progresso, insieme agli ideali e ai valori della Rivoluzione Francese. Ma di cosa si tratta in fondo? A me ricorda tantissimo l’epoca nella quale ho vissuto io, quando i Sovietici sono arrivati a portare la cosiddetta “libertà” alla Cecoslovacchia. Ma invece di una vera liberazione della Spagna, Napoleone insedia suo fratello sul trono spagnolo fino a quando gli Inglesi, guidati da Wellington, invadono la Spagna, cacciano i Francesi e restaurano la Monarchia Spagnola. Insomma, un periodo molto interessante. Sapevo, naturalmente, che una storia simile non avrebbe mai potuto essere raccontata in Cecoslovacchia proprio per le suddette affinità e quindi l’ho messa da parte, almeno temporaneamente.
Quindi Goya nel suo film diventa un personaggio politico?
No, non credo che Goya fosse coinvolto politicamente, almeno non consapevolmente. Era diciamo semplicemente un osservatore incredibile, un po’ come un giornalista di oggi. Commentava, registrava ciò che stava accadendo e come dice nel film: «Dipingo ciò che vedo». In ogni caso non ho mai pensato di fare un film biografico su Francisco Goya, così come, quando ho girato Amadeus, non avevo mai pensato di raccontare la storia di Mozart. Trovo che le biografie siano noiose. Mi interessava invece ambientare la vicenda in un periodo che io considero il più importante della storia moderna perchè ha visto il crollo di istituzioni che sembravano intramontabili e la necessità dell’affermarsi di nuove idee.
Com’è arrivato alla scelta di un attore come Stellan Skarsgård, non così conosciuto negli Stati Uniti?
Non volevo un attore facilmente e immediatamente riconoscibile. Per i personaggi inventati, come Lorenzo e Ines, il fatto che fossero interpretati da attori molto famosi non aveva alcuna importanza, ma Goya doveva uscire dal nulla, doveva essere qualcuno di assolutamente inatteso, non riconoscibile.[img4]
E invece come ha conosciuto Natalie Portman?
Non la conoscevo per niente. Avevo comprato una copia di Vogue o un’altra rivista di moda simile e la stavo leggendo per rilassarmi quando sono rimasto colpito dalla fotografia di una ragazza che poi ho scoperto essere Natalie. E mentre guardavo la foto, ho aperto un libro su Goya e c’era la foto del dipinto La lattaia di Bordeaux e ho notato che era tale e quale a Natalie. Allora ho cominciato ad informarmi sulle qualità di questa giovane attrice e ho costatato che era molto amata ed apprezzata. E poi ho visto Closer e ho capito quanto fosse brava e ho capito che era lei che volevo per il mio film. E’ un’attrice che è in grado di interpretare qualunque tipo di emozione e lo fa in maniera incredibile e sorprendente e questo è fondamentale per questo film perché è come se interpretasse tre persone diverse.
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