L’anima buona di Villa Fiorito
Coraggioso, senza dubbio, ma poco audace il tentativo di Marco Risi di presentare una biografia del giocatore più amato di tutti i tempi, Diego Armando Maradona, dall’infanzia trascorsa nella bidonville argentina di Villa Fiorito sino ai più tristi momenti dell’attuale esistenza dell’ex Pibe de Oro.
Bastano le immagini di repertorio sui gol di Maradona, capaci di emozionare anche lo spettatore più indifferente al calcio, a costruire una biografia altrettanto appassionante? No. La volontà di Marco Risi, quella di restituire all’angelo caduto del pallone una qualità mitica, è del tutto legittima. Ma da un punto di vista narrativo, si rimpiange la trasgressione (allora autentica) di Mery per sempre (1989) e le durezze di Ragazzi fuori (1990). La storia di Diego Armando Maradona, il cui finale è ancora da scrivere, procede dalle prime prodigiose prove infantili sino al momento drammatico in cui il goleador, obeso e affaticato come ci siamo dovuti abituare a vederlo, viene colto da un infarto. La sua vita scorre come un lungo flashback, un’autoanalisi compiuta durante la degenza in ospedale. Un ricordo in particolare, quello del talentuoso discolo che precipita in un pozzo pur di recuperare il suo pallone, ricorre come correlativo visivo dei concetti di sprofondamento, riemersione e irresistibile tendenza all’autodistruzione. Questi tre, purtroppo, sono gli unici poli attorno a cui orbita la vita del Diego calciatore, del Diego uomo e il film stesso. Proprio come l’esistenza che si propone di raccontare, La mano de D10s oscilla tra emozione e banalità, tra approfondimento e faciloneria. Gli anni infantili, affidati a piccoli quanto meravigliosi interpreti, sono i più appassionanti sotto ogni punto di vista. Quando il testimone passa a Marco Leonardi (Nuovo cinema paradiso), volenteroso ma forse non del tutto efficace interprete, l’andamento registra un calo di tensione notevole.
Trattenuto da inevitabili ostacoli all’approfondimento, Risi restituisce la storia di Dieguito come, bene o male, la conosciamo tutti, depurandola fin troppo di quel delirio folkloristico che invece ha realmente caratterizzato soprattutto il suo rapporto con la città di Napoli. Raramente si può giungere alla conclusione che un’eccedenza di sobrietà possa essere fuori luogo. La strada dell’eccesso non ha condotto Maradona verso nessuna saggezza, né quella della pacatezza ha guidato il regista verso la riuscita totale. Troppo da dire, troppo da censurare e soprattutto, ancora troppo presto.
A cura di Daniela Scotto
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