Medicina generale
Pare davvero che il filone dei telefilm medici sia aureo e inesauribile.
ER (lunedì ore 21, Raidue), tra i primi a comparire sui nostri televisori, è arrivato ormai alla tredicesima stagione. Doctor House ha stregato i suoi telespettatori convincendoli, non per niente, di essere un genio della medicina. Pazienza se le sue diagnosi si basano su una serie di tentativi che ogni volta rischiano di mandare al creatore i pazienti. Grey’s Anatomy (venerdì ore 21, Italia 1) è un mix riuscito tra medicina e love story e, anche se ha un po’ perso in credibilità nelle ultime puntate, al dottor Stranamore si perdona tutto e lo share si mantiene altissimo. Scrubs (giovedì ore 21, MTV) affronta morte e malattia con una vena satirica che forse non tutti sono in grado di apprezzare. Insomma, infinite declinazioni dello stesso tema per andare incontro a tutti i gusti.
Di fronte a tutto questo ben di dio anche le produzioni italiane si sono date da fare. Ma i primi tentativi, tra i quali vale la pena di ricordare La dottoressa Giò (1995) e Amico mio (1993), non hanno ottenuto lo stesso successo delle serie d’oltreoceano.
La sfida si riaccende ora con Medicina Generale (domenica ore 21.10, Rai Uno). La nuova serie, prodotta da Rai Fiction, si svolge all’interno di un ospedale romano. Strutturata in 13 puntate, racconta la storia della nuova giovanissima caposala del reparto di medicina generale, del gruppo di medici e infermieri con cui lavora e dei loro pazienti ricoverati.
Ad una prima visione , Medicina Generale potrebbe essere considerato un prodotto del tutto simile a quelli americani, con tanto di logo (scopiazzato) simil-ER. Ma non bisogna farsi ingannare dalle apparenze: lo stile è tipicamente italiano, e le differenze saltano subito all’occhio.
Al telefilm, da noi, è assegnato un ruolo prettamente educativo: i casi analizzati sono sociali e solo secondariamente clinici. Valga come esempio la paziente diabetica a cui è necessario amputare la gamba. Non è dell’operazione chirurgica che si parla, ma della libertà di scelta della paziente a sottoporsi o meno a questo tipo operazione. Tutti i pazienti che giungono al reparto sono esemplificativi di una determinata problematica sociale che viene sviluppata e risolta grazie alla collaborazione tra medici e infermieri.
Poiché i telefilm hanno una grandissima diffusione, non è una novità che venga loro affidata una funzione didascalica. La fiction viene proposta come specchio della realtà, da osservare e da cui imparare. Ma proprio per questo bisognerebbe fare attenzione affinché lo specchio non distorca la realtà, come avviene nella casa degli orrori del Luna Park.
In questo caso, purtroppo, un po’ di mostri sono venuti fuori ed è probabile che ora ci sia in giro più di una persona convinta di poter con facilità interdire il parente che non vuole sottoporsi alle cure o di poter prenotare telefonicamente un aborto per il giorno dopo.
Tra le carrellate in sala operatoria e gli interventi a cuore aperto cui siamo ormai abituati, Medicina Generale prova a differenziarsi dedicando spazio anche a quella parte dell’ospedale più lenta, in cui bisogna avere la pazienza di aspettare che le cure portino a guarigione, in cui si sviluppa tutta la sofferenza e l’angoscia del malato, che deve affrontare la sua malattia un giorno alla volta. Non solo nell’urgenza chirurgica esistono difficoltà e problemi. Spesso è altrettanto difficile riuscire a fare la giusta diagnosi o convincere il paziente a curarsi. È questo l’aspetto principale evidenziato dalla fiction. In questo modo, però, nonostante le aspettative scaturite dalla pubblicità e dalla grafica innovativa, [img4]ci troviamo nuovamente di fronte a un prodotto più simile a Un medico in famiglia che a uno dei telefilm americani che hanno avuto così tanto successo anche in Italia.
Il direttore di Rai Uno, Agostino Saccà, dichiara di aver cercato con Medicina Generale una modernizzazione del linguaggio, per andare alla ricerca di un pubblico più giovane dei cinquantenni che formano l’età media della fiction generalista. Ci sarebbe da dirgli che, se era questo l’obiettivo, decisamente non ha centrato il punto. La saga del buonismo, l’intreccio amoroso da telenovela, la scelta degli attori, la funzione troppo educativa del telefilm lo rendono un prodotto perfetto proprio per i cinquantenni di oggi. I giovani forse lo guarderanno, ma solo per far compagnia alla mamma.
A cura di Silvia Poli
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