Di sogni e di suoni
Una sola, timida, premessa: Rosso come il cielo è un piccolo prodotto di cui l’Italia può e deve andare fiera. A prescindere da qualsiasi ulteriore considerazione di tipo tecnico, produttivo o narratologico, è bello sapere che il nostro cinema è in grado di esprimersi in modo convincente su una tematica sociale complessa come quella della “diversabilità”.
Un concetto delicatissimo, che ci costringe a porci in un’ottica per così dire “costruttiva” rispetto all’handicap, a differenza della nozione di “disabilità”, troppo spesso ridotta solamente all’aspetto pietistico del problema.
Naturalmente ci vuole un’estrema sensibilità per realizzare un film come questo.
Fortunatamente, questa è una dote che non manca a Cristiano Bortone, regista di scuola documentaristica che nelle sue precedenti produzioni ha già dimostrato di sapersi confrontare con tematiche forti quali il consumo di marijuana (L’erba proibita, 2002) e la sieropositività (Sono positivo, 2000).
Detto ciò, la caratteristica principale di Rosso come il cielo è la semplicità.
Una semplicità che appare voluta, cercata, valorizzata in qualità di antidoto alla lacrimosità, alla spettacolarizzazione o, peggio ancora, al manierismo.
La storia (vera) di Mirco, ragazzino diventato non vedente in seguito a un incidente e quindi mandato a studiare in un istituto per ciechi dai metodi repressivi, ci viene presentata con immediatezza secondo una costruzione priva di fronzoli e orpelli, ai limiti del favolistico.
L’attenzione si concentra tutta sul giovane protagonista, lasciando sullo sfondo la cronaca degli scontri sociali della Genova dei primi anni Settanta, scarsamente problematizzati e utilizzati più che come elemento narrativo che non come spunto di riflessione.
In questo senso, il limite del film coincide proprio con quello che è il suo maggior pregio. L’estrema linearità del racconto, infatti, se da un lato impedisce derive poco opportune, dall’altro genera un po’ di inevitabile prevedibilità, in parte mitigata da alcuni momenti intensamente poetici costruiti con sapienza registica e soprattutto attraverso una prova magistrale di tutto il cast, a partire dai piccoli attori non vedenti per arrivare al protagonista Luca Capriotti, senza dimenticare un caratterista di grande talento come Paolo Sassanelli.
Da sottolineare, infine, lo splendido lavoro di sound design coordinato dallo stesso Mirco Mencacci (il montatore del suono alla cui vita è ispirata la pellicola). Le atmosfere sonore sono infatti il vero e proprio valore aggiunto di questo film. Tanto belle che di tanto intanto allo spettatore viene la tentazione di chiudere gli occhi, per gustare a pieno il perfetto intrecciarsi di musica e rumore.
Curiosità
In parallelo alla lavorazione di Rosso come il cielo, Guido Votano ha girato Altri occhi, un documentario che narra l’amicizia nata tra due dei protagonisti della pellicola. Il film, già presentato al Torino Film Festival, sarà presto distribuito in home video.
A cura di Marco Valsecchi
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