Il velo strappato
Terzo film tratto dal romanzo omonimo di Somerset Maugham, di cui la versione del 1934 vedeva la divina Greta Garbo nei panni che oggi sono della bionda Naomi Watts, è un tentativo di rivitalizzare il genere nel melò al cinema. Il progetto di John Curran è durato oltre dieci anni, prima di vedere finalmente le sale. Il coinvolgimento di una coppia come Edward Norton e Naomi Watts ha finalmente dato l’accelerazione conclusiva perché il film vedesse la luce, o meglio, il buio della sala.
Curran, rispetto alle precedenti versioni cinematografiche, costruisce un duello paritetico tra i due personaggi, modernizzandone il rapporto. Norton è uno studioso che conosce meglio i batteri che le donne, la Watts è una ragazza borghese che mal sopporta le rigide regole imposte dalla sua famiglia. Il matrimonio è la soluzione per entrambi: lei, non innamorata, ha modo di allontanarsi dal focolare domestico, lui, ardente di desiderio, sogna di conquistarla con il tempo. Invece saranno le umiliazioni, le frustrazioni, l’incomunicabilità e la noia ad allontanarli per poi riavvicinarli. Ma quando questo accade, il tempo sarà già scaduto.
Il film si regge prevalentemente sulla prova della coppia di protagonisti, Naomi Watts riesce a scrollarsi di dosso l’aura da “bella” ottenuta nello splendido duetto jacksoniano con la “bestia” King Kong, mentre Norton dimostra grande duttilità, per la prima volta al servizio di un personaggio impacciato, relativamente poco simpatico, ma che riesce a riconquistare moglie e pubblico grazie alla silenziosa passione che infonde nel matrimonio e, soprattutto, nel lavoro. Ma non sempre bastano due attori ispirati a reggere un film.
I capolavori del cinema melodrammatico, I ponti di Madison County (The Bridges of Madison County, Clint Eastwood, 1995) o L’età dell’innocenza (The Age of Innocence, Martin Scorsese, 1993) solo per citare due perle, si collocano a una distanza siderale dal film di Curran: Il velo dipinto fa parte di quella categoria di film che obbliga lo spettatore, in coda per uscire al termine della proiezione, a cercare parole di conforto per giustificare la scelta di quanto appena visto. Ma in realtà non c’è giustificazione: forse il progetto è servito a offrire un piacevole, spesato, tour cinese alla troupe. Fortunati loro.
A cura di Carlo Prevosti
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