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Raccontarla per vivere

Raccontarla per vivere

Passato, presente e futuro irriducibilmente legati. Gli orologi vengono sincronizzati. Inizia il racconto della famiglia Eriksson. Storie che si affastellano e ricordi che si sovrappongono, frammenti di vita sparsi, episodi sconnessi, tutti inequivocabilmente frutto della mente confusa di una donna anziana, nonna Bjørk, vera e propria memoria comune. Tocca al nipote, il più piccolo di tutti, rimettere insieme ogni cosa. Anche per sconfiggere un vecchio senso di colpa. Ma così come tutte le storie si nutrivano di frottole, e così come i ricordi della vecchia si stemperano con la fantasia, allo stesso modo è un insieme di queste frottole che può offrire la sua unica verità, è l’unico modo per essere fedele alla sua storia; la storia della testa di cane, un mostro orribile che viveva nel sottoscala della cantina buia e negli incubi peggiori del piccolo Asger.

Ma gli aneddoti si accavallano, e frammenti di mondi sconosciuti irrompono dal profondo di voci che si incontrano. Ci sono visuali differenti, diverse narrazioni che si intrecciano: Asger è solo un registratore dei ricordi di parenti stravaganti e bislacchi. Ogni componente della famiglia possiede la sua versione e il suo pezzetto di storia. C’è nonno Askild, ubriacone e contrabbandiere, che dipinge quadri cubisti, e c’è nonna Bjørk. Poi zio Knut, col naso rotto, che s’imbarca per il mare aperto; zia Anne Latrine, obesa e ritardata; c’è Niels junior, suo padre, detto Orecchie a sventola, partorito nella merda e da sempre impegnato a tirarsene fuori. C’è Leila, sua madre, la sorella Stinne, e tanti altri ancora. E infine c’è lui, Asger, soprannominato il Bastardo, il Bugiardo, il Ragazzo di strada, che come narratore centralizzante ha la possibilità di sviluppare la sua funzione sopra tutte le altre voci e di usare la sua immaginazione dove la memoria della nonna comincia a vacillare. Perciò raccoglie tutte le bugie e i mostri creati – attinge da tutti i “si vocifera che” e “leggenda vuole” – e li ridipinge su tante tele bianche, intrecciandoli al suo modesto racconto personale, e ne fa un grande collage di menzogne per dire l’unica verità possibile: la necessità del racconto. Perché da quando la nonna sta male ha smesso di raccontare, e quelle storie strampalate erano l’unico collante che teneva unita la famiglia.

Morten Ramsland ci offre un’opera briosa e divertente, ma anche commovente e romantica. Precisissimo nel cogliere i momenti in cui captare l’attenzione del lettore, è ancor più saggio nel proporre un messaggio che appare disarmante nella sua semplicità. Ogni cosa sembra irrimediabilmente perduta. Non rimangono tracce di tutte le bugie raccontate. E quel che resta sono solo le storie, come fantasmi aleatori. Ma Asger comprende che un’impronta cancellata altro non è che uno spazio aperto sul futuro. Una strada ancora da battere. È la possibilità di raccontare.
Perché non sei fregato finché hai una storia messa da parte e qualcuno a cui raccontarla.

L’autore
Morten Ramsland, nato nel 1971, si è laureato in letteratura danese e storia dell’arte. Con Testa di cane (Feltrinelli, 2006), sua prima pubblicazione e già 150.000 copie vendute nella sola Danimarca, si è aggiudicato il prestigioso “Alloro d’oro”, premio assegnato dai librai danesi al miglior romanzo dell’anno.

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