Un museo da esperienza
Trascorrere una notte all’interno del Museo di Storia Naturale controllato da Larry Daley riconcilia lo sguardo con due elementi fondamentali dell’effetto cinema: l’immaginazione e il gioco. Due dinamiche riscoperte, da tempo perdute o troppo spesso accantonate, che permettono allo spettatore di avvicinarsi allo schermo attraverso le magie di un’avventura ricca di sorprese e colpi di scena. Tornano in primo piano, insomma, due coordinate di cui spesso il cinema abusa, senza riuscire a ottenere la scintilla necessaria a far brillare gli occhi.
Con il film di Levy pare che queste due strade siano ampiamente percorribili e, soprattutto, grazie a queste, sembra che il cinema abbia riscoperto il gusto di divertirsi con storie per giovanissimi. Un vero tuffo nel passato per riesumare le atmosfere di certi classici degli anni ottanta dove ciurme di ragazzini invadevano il grande schermo da protagonsiti e a seguire, tra il pubblico, si affermava la fetta dei coetanei sfegatati e scatenati. Dalle avventure dei Goonies (id., Richard Donner, 1985), prodotto da Spielberg a Navigator (id., Randal Kleiser, 1987), da D.A.R.Y.L. (id., Simon Wincer, 1986) ai Gremlins (id., Joe Dante, 1984), da La storia infinita (Neverending Story, Wolfgang Petersen, 1984) a Voglia di vincere (Teen Wolf, Rod Daniel, 1985), fino ad esempi con budget produttivi di altri livelli come la trilogia di Ritorno al futuro (Back to the future, Robert Zemeckis, 1984) o lo stesso E.T. (id., Steven Spielberg, 1982), i giovanissimi erano protagonisti dentro e fuori un cinema dai connotati tutti fantastici. Una sfumatura che ha sempre coinvolto e appassionato, pure nei novanta dove si ricorda uno Schwarzenegger che si divertiva con mondi reali e virtuali in Last action hero (id., John McTiernan, 1993) oppure un Robin Williams che sfoggiava tutta la sua talentuosa simpatia in Jumanji (id., Joe Johnston, 1996), forse l’esempio che più ha ispirato il lavoro di Levy.
L’avvento del maghetto occhialuto e dell’hobbit sfigato ha decisamente ridotto l’attenzione dedicata al filone (chiamarlo genere è forse improprio). Col tempo questa sorta di omologazione tematica ha cercato di soddisfare le attese e i bisogni di evasione, con risultati anche notevoli, ma con poche alternative. In quei casi, non si assisteva certamente a film per bambini. La complessità e la problematicità delle trame, della storia dei personaggi, delle complicazioni del destino e delle tragiche conseguenze ha sempre strizzato l’occhio a sguardi più maturi e adulti. Inoltre, le cosidette alternative, come Lemony Snicket (Lemony Snicket’s A Series of Unfortunate Events, Brad Siberling, 2004), non sono riuscite a rispettare le attese.
Qui, invece, non si bara. Tutto è finto e ordinato, tutto è pronto per mettersi in moto e scatenare il panico, azionare il divertimento, ingranare l’improvvisazione. La forma statica di pupazzi imbalsamati abbandona la sua collocazione spazio / temporale per riappropriarsi di spazi e tempi nuovi, realizzando un ponte tra passato e presente storicamente vivo. La Storia diventa una postilla del discorso, perché le carte si mescolano e anche se pare di giocare con la cultura, con il sapere, con la memoria, il divertimento è assicurato e ingenuo.
Il ruolo di Larry, guardiano / osservatore, segue in parallelo quello dello spettatore. La scoperta, l’emozione della novità, la gioia di un segreto straordianario, sono le stesse sensazioni percepite da chi si trova al di là dello schermo. Una collocazione temporanea, perchè quando scatta la magia, immaginazione e gioco diventano il ponte che unisce due mondi così lontani come realtà e finzione. Anche solo guardando.
A cura di Matteo Mazza
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