Sulla convivenza multietnica
I cambiamenti della società sono da sempre tematiche privilegiate dell’indagine e dell’occhio cinematografico. Così oggi la convivenza di culture diverse è diventata argomento principe di numerose pellicole. Non è certo una novità. Dalle commedie macchiettistiche stile Il mio grosso grasso matrimonio greco (My Big, Fat, Greek Wedding, Joel Zwick, 2002) o East is East (id., Damien O’Donnell, 1999) agli sguardi più lucidi e attenti del loachiano Un bacio appassionato (Ae Fond Kiss, Ken Loach, 2003), religioni che fanno fatica a coesistere, usi e tradizioni che si scontrano, abitudini che sembrano monoliticamente irreversibili fanno da sfondo a film di ogni genere.
Sebbene quindi Dominic Savage con il suo multirazziale Love + Hate, sembri arrivare con qualche anno di ritardo per raccontare qualcosa di nuovo, lo fa con uno stile e con un’angolazione talmente diversi da non cadere mai nel facile tranello della banalità. Il regista inglese infatti, dopo lunghi anni di lavoro come documentarista, anche per la Bbc, è arrivato a dirigere il suo primo lungometraggio di finzione, oltre che con una buona dose di esperienza alle spalle, anche con le idee abbastanza chiare su ciò che voleva e ciò che non voleva mostrare. Così, con schiettezza e passione, ha confezionato questo piccolo gioiello d’indagine sociale. La caratteristica che infatti predomina in tutto il film è quanto, pur essendo fiction, l’occhio documentaristico abbia la meglio: nessun indugiare verso commozioni o edulcorazioni, nessuna vacuo buonismo, nessun gesto gentile perché dovuto. Una fotografia asciutta e rigorosa, un ritratto di una situazione sociale che ancora, anche nella ipercontemporanea Inghilterra, palesa tante difficoltà da superare per quanto riguarda la convivenza dei popoli.
È con lo stesso spirito indagatore che il regista ha infatti scelto non solo le musiche, ben amalgamate fra gli ascolti della giovane comunità pakistana, ma anche gli interpreti: un casting lunghissimo per scovare non attori professionisti ma ragazzi e ragazze che davvero nella loro vita reale avessero vissuto esperienze simili e che quindi potessero portare nella pellicola il loro bagaglio di gioie e dolori. Per questo gran parte dei dialoghi non si è basata su una ferrea e determinata sceneggiatura, ma sull’improvvisazione, che ha regalato al film una spontaneità notevole. Il linguaggio cinematografico di Savage non è ancora maturo, finisce per avere diverse sbavature o imprecisioni, ma nel complesso il film gode di una sincerità e di un’onestà che si riescono a sentire fino all’ultimo minuto.
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