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Lo Stallone italiano va in pensione

Lo Stallone italiano va in pensione

Rocky è Sylvester Stallone e Sylvester Stallone è Rocky. L’ultrasessantenne attoregisceneggiatore newyorkese lo ammette in conferenza stampa (“il pubblico non fa distinzione tra le due figure”), e lo rende ancora più evidente con il sesto film della saga, arrivato a trent’anni esatti dalla prima pellicola. Così come il suo personaggio, Stallone ha esordito con il botto, ma dopo tanti successi è finito nel dimenticatoio. Nemmeno un film negli ultimi tre anni, e chissà a quanti avrà raccontato le storie di quand’era giovane, così come fa il vecchio Rocky nel suo ristorante italiano. E come Rocky decide di tornare a combattere, anche Stallone si ributta nel passato, ripescando il suo personaggio più famoso e riesumandolo per un’ultima volta.

Per far ciò, torna a un budget basso (il film è costato molto meno di Rocky IV e V, malgrado i due decenni di distanza), si occupa personalmente di sceneggiatura e regia, e soprattutto cerca di tornare alle atmosfere del primo episodio della saga. Un Rocky che era davvero un eroe americano, prima di diventare il pupazzone populista degli episodi successivi. Stallone in questo è sincero. Appare evidente come tenga al personaggio, finendo ancora una volta per mescolare se stesso con il personaggio che interpreta. Peccato però che Stallone dietro la macchina da presa non sia mai stato un genio. E così Rocky Balboa, malgrado qualche gag divertente (come quando lo Stallone Italiano si autocita con un «Ti spiezzo in due» al figlio), finisce per trascinarsi stancamente per più di un’ora dietro a malinconici ricordi e rapporti familiari appena accennati. Ma si sa, in questi casi quello che conta è l’incontro finale. Quando si riporta in vita un personaggio ormai alla frutta, lo si vuole vedere in azione. Lo stesso accadeva ad esempio in Freddy vs. Jason: un’ora di film assolutamente insignificante e mezzora di combattimento da antologia, almeno per i fan. Qua purtroppo non accade lo stesso. La preparazione all’incontro è fondamentalmente un remake dell’originale, con i pugni a segno sulle carcasse dei manzi sulle note di Bill Conti, e si esaurisce in pochi minuti. L’inizio dell’incontro è forse la scelta registica più interessante. Anche per motivi di budget, dato che le riprese sono state fatte prima di un vero match, con il pubblico, i giornalisti e i pugili in attesa di combattere sul serio, tutto è stato girato come se si trattasse di un vero evento sportivo, con le voci dei commentatori fuori campo e con un realismo finora estraneo alla saga. Poi però tutto torna alla normalità, si assiste al solito incontro improbabile, ma tutto avviene con troppa rapidità: vista l’attesa, ci si aspettava qualcosa di più.

La conclusione infine è di un moralismo quasi stucchevole, con i buoni che più buoni non si può e i cattivi che si redimono o scompaiono nel nulla. Ma Rocky è Rocky, e da lui non ci si poteva attendere che questo.

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