Un’annata scontata
Il signor Ridley Scott, inglese di nascita, americano nell’anima, ritorna con una commedia dai caratteri leggeri e scanzonati che, esaltando elegantemente il fascino della Provenza francese, racconta la storia di un cinico manager inglese infine redento alla vita di campagna.
Il protagonista Russell Crowe, affiancato da Abbie Cornish, la giovane cugina ritrovata, e Marion Cotillard spumeggiante francesina proprietaria di un bistrot. Una natura stuzzicante, mosti e vigneti, il mistero dei costosissimi vini da ‘garage’, la semplicità dei costumi campagnoli e uno splendido château fatiscente con statue antiche e vista panoramica degna di première classe Michelin.
Per contrasto la dura e irrefrenabile vita della City londinese: broker pronti a tutto, algidi uffici dalle vetrate immense, tecnologia di ultima generazione, quadri di Van Gogh nascosti nei caveau.
Il solito dualismo città campagna, un dio denaro che si scontra contro i veri piaceri della vita, il mondo dell’arrogante arrivismo contro quello degli affetti.
Tematiche scontate e forse eccessivamente inflazionate, un finale che, inutile nasconderlo, si intuisce fin dal primo minuto e una storia che di fascinoso possiede soltanto Russel Crowe abitano un film deludente ma altrettanto difficilmente attaccabile da un punto di vista prettamente tecnico. (Ridley Scott è pur sempre Ridley Scott). Il dolce richiamo della Provenza, il sapore del vino rosso, il profumo della lavanda, i colori, il gusto delle vivande e l’allegria che pervade luoghi e persone intridono di leggera quiete vacanziera lo schermo. Il ritmo, accompagnato da musiche ben calibrate per lo stile della commedia, non delude. Fotografia e immagini altrettanto.
Russel Crowe, trasformista dalle mille doti, diverte con buffa eleganza, interpretando con carisma e convinzione un “tipo umano” intrigante ma nella sostanza poco realistico. Il contrasto città / campagna, invece, accenna ma non soddisfa: troppo fulminea la prima parte, quella incentrata sulla vita frenetica della City, troppo lunga la seconda, il cupio dissolvi tra le delizie francesi.
I personaggi, malgrado l’indubbia capacità del cast, vengono ridotti a semplici stereotipi poco approfonditi nelle loro specificità e motivazioni.
Difficile, con una storia così banale, creare un prodotto che abbia veramente senso.
Ridley Scott tenta un ritorno alle proprie origini, quelle europee, senza appassionare. Il genere della commedia non fa per lui. Tanto meno il presunto intimismo. Regista “miracolo” che, a cavallo tra anni ottanta e novanta, ha firmato alcuni dei più grandi capolavori della storia del cinema americano, genio drammatico, creatore di inarrivabile eleganza e trasformismo della commistione, tutt’ora vigente, tra opera commerciale e film d’autore, cade qui nella fredda banalità di un film manieristico, poco convinto e privo contenuti, motivato solo da una personale passione enologica. La tecnica a volte non basta e qui si sente.
Una domanda sorge spontanea: tornerà, prima o poi, il vecchio Ridley?
Curiosità
La decisione di adattare A Good Year al grande schermo è stata presa da Ridley Scott e Peter Mayle proprio davanti a una buona bottiglia di vino della Provenza. Amici ormai da anni i due condividono la passione per la campagna francese. Fu proprio Scott, che durante un memorabile pranzo, portò dei ritagli di giornale dove si parlava dei nuovi vini di Bordeaux, detti da ‘garage’, venduti a prezzi altissimi pur non avendo uno château o un pedigree alle spalle. Da queste suggestioni è nato poi il romanzo, best seller, di Mayle.
A cura di
in sala ::