Esorcismo a toni pacati
Basato su una storia vera, il film prende le forme di un documentario. I colori sono molto tenui, la narrazione è lenta e talvolta un po’ noiosa; la coreografia è spoglia a tal punto da ricordare troppo spesso la tipica produzione tedesca alla Derrick o alla Christiane F.
Michaela (Sandra Hüller, vincitrice per questo film dell’Orso d’Argento come miglior attrice al Festival di Berlino 2006) è Anneliese Michel, una ragazza effettivamente vissuta nella metà degli anni settanta nella provincia tedesca e morta di fame in seguito a ripetute pratiche di esorcismo. Il film traccia la sua vita e liberamente interpreta gli avvenimenti senza spingere, neppure per un secondo, sull’acceleratore degli effetti speciali e del paranormale. La diversità di Michaela è più narrata che vista. Quindi niente teste che girano a 360° o urla strazianti di dolore di fronte alla croce. Hans-Christian Schmid gira quasi sempre con la cinepresa a spalla documentando il quotidiano della giovane: le lezioni all’università, i suoi incontri con l’amica, le serate in discoteca. Primissimi piani sul viso della protagonista sgranano la sua pelle immacolata, senza mai cogliere la giovane con le espressioni malefiche della invasate Emily Rose o Reagan. Anche quando mette a soqquadro la sua camera, distrugge il nastro della sua preziosa macchina da scrivere e rompe il rosario regalatole dalla madre, Michaela non si scompone mai veramente, dimostrando un à plomb un po’ troppo anglo-germanico, lo stesso che riconosciamo nel Kommissar bavarese di fronte all’assassino. Dunque, anche quando la disperazione e lo stato di prostrazione conducono la giovane in uno stato di eccitazione quasi sessuale, Schmid si limita ad evocare in modo assolutamente velato, inserendo delle crisi epilettiche immagini senza parole e montate a spezzoni, come a riassumere lo stato di disagio e schizofrenia.
Shimid ci fa entrare quasi in punta di piedi nel salotto di casa; ci fa sedere sul divano accanto a Michaela, dove le sedute di esorcismo hanno luogo, in silenzio, in preghiera, senza potere intervenire, perché tutto è stato già deciso per lei, malgrado l’amica Hanna, il suo unico sguardo sul mondo, voglia trasmetterle la forza per reagire e tentare di guarire. Ma come Anneliese, Michaela non reagisce e punta al suo obiettivo di auto incoronazione a martire attraverso la sofferenza estrema e le privazioni arrivando a godere dell’idea di potere emulare santa Caterina. Nella martire santificata che avrebbe vissuto pene dell’inferno nel corso di tutta la sua vita perché posseduta da demoni, Michaela intravede il senso alla sua altrimenti inutile vita. E sembra che l’obiettivo sia stato effettivamente raggiunto, dato che oggi Anneliese è venerata nel suo paese natale come una martire e la sua tomba è meta di pellegrinaggio.
Schmid non si smentisce nel corso di tutto il film e malgrado i forti argomenti parla con toni dimessi, creando la risposta tedesca ai film splatter di esorcismo hollywoodiano. Tuttavia, infarcisce il suo lungometraggio di allusioni e rimandi a sentimenti ed emozioni che rimangono perennemente nascosti, quasi censurati a discapito di una maggiore comprensione delle condizioni psicologiche ed emotive della protagonista, che, fino all’ultimo istante, non esercita in noi – mediterranei – alcuna forma di empatia.
A cura di Alessandra Cavazzi
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