Labirintiche fantasie
Favola dark al limite della sopportazione di Alessandra Cavazzi ****
Ofelia è un’Alice nel Paese delle meraviglie che fugge attraverso porte e cunicoli e cade in banale tentazione come Eva nel paradiso dell’Eden addentando due acini d’uva. Vidal (Sergi Lopez) è il prototipo del capitano hitleriano cattivo con gli angoli della bocca sempre rivolti verso il basso, che non perde occasione per dimostrare il suo astio nei confronti del mondo: odia il padre morto, la neo sposa, la figliastra. È motivato a mantenere sopportabili rapporti in famiglia solo in vista della nascita di suo figlio, suo erede maschio in una dittatura che merita solo maschi al potere e donne da sottomettere.
E’ la macchietta di un cattivone alla Sturmtruppen, con guanti di pelle scricchiolanti, una pistola in cintola sempre pronta a colpire e una forza alla Rambo quando si cuce allo specchio la guancia senza emettere suono e quando riesce a correre come una lepre anche se è stato pugnalato al cuore e al ventre. Più che un film è un cartone animato zeppo di stereotipi e caricature: Ofelia è la brava e buona bambina curiosa un po’ Harry Potter quando ha poteri di veggenza, Vidal è un neo Adolf Hitler alla ricerca della Spagna “nuova e pulita”, la madre è la graziosa e stupida vittima silenziosa. Nessun personaggio è umano e dunque nessuno mostra di possedere sfaccettature caratteriali, al contrario, tutti seguono il filone della maschera che indossano dall’inizio alla fine: quindi offrono tutto ciò che un bambino di tre anni vorrebbe sentirsi raccontare come ninna nanna.
Gli effetti speciali sono discreti nella ricostruzione verosimigliante delle fatine, del fauno, così come dell’umano mostro senza occhi che aspetta Ofelia al banchetto (e qui, almeno, Del Toro prova di essere stato allievo di Dick Smith negli effetti speciali), ma non sufficienti per convincerci che stiamo guardando una brutta copia di un film di Tim Burton (addirittura riconosciamo l’albero in cui entra Ofelia, lo stesso in cui erano intrappolati i morti nel film di Sleepy Hollow), e a differenza di questi, Del Toro non offre alcuna forma di ironia, anzi pretende pure di offrire una morale perché la sua vuole essere una favola non una fiaba. Del Toro infatti vuole creare un parallelo tra il mondo della fantasia e della realtà: nel mondo della fantasia c’è una seconda imprevedibile possibilità. Il mondo della realtà è piatto nella sua prevedibilità e nella sua scarsa immaginazione: anche le torture e tutta la procedura intorno a loro seguono sempre lo stesso copione. La possibilità di scegliere il giusto unito alla battaglia infinita per ciò in cui si crede è il tema conduttore che riallaccia i due mondi e che offre la redenzione.
Nel labirinto di Ofelia di Francesca Bertazzoni ********
Guillermo Del Toro racconta un’altra favola nera dopo Hellboy, (id., 2004), ma che ha il respiro de Il segno del diavolo (El espinazo del diablo, 2001). Tra il fantasy e la ricostruzione storica, la storia di Ofelia diventa segno della resistenza al Male, ancora una volta incarnato nella follia nazista. Storia di Ofelia: nel film le due anime della fantasia e della realtà si fondono nel libro dalle pagine bianche, che è la stessa bimba a scrivere, a inventare, e poi, vivere. E i passaggi lisci della macchina da presa da un’inquadratura all’altra, da quel mondo d’invenzione a questo di crudele verità, sono finti piani sequenza che fondono le diverse nature del film in un unico racconto.
Storia di Ofelia, perché è lei a far apparire l’insetto magico, quando nel bosco ricompone l’occhio mancante della statua. Dai suoi occhi, dalla sua mente, emerge il mondo del fauno, un mondo di paura panica e di insidia, nel quale Ofelia si rifugia per resistere al male esterno. La sua non è una fuga, ma un modo tutto femminile di opporsi alla bestiale crudeltà degli uomini (come Mercedes fa parte dei ribelli al nazismo, come la madre resiste al dolore per portare a termine la gravidanza): è una lotta per la vita, per il futuro rappresentato dal fratellino non ancora nato, per difendere l’innocenza del passato, la Madre incinta. Per combattere un presente oppressivo, Ofelia si mette alla prova, come l’eroina di una fiaba, che impresa dopo impresa raggiunge il suo regno.
Una favola del bene opposto al male, senza indugio, senza retorica, con coraggio. Il mondo di favola di Ofelia non è un rifugio sicuro, ma pieno di creature ambigue, paurose, difficili da comprendere, ripugnanti, a tratti crudeli. Il fauno stesso è una creatura mostruosa, che per tradizione incute timore in chi si imbatte in lui; non è confortante né accomodante. È una sfida che una bambina può vincere, contro un male totale, rappresentato dalla guerra stessa. La vittoria finale di Ofelia si attua nel suo regno: resistendo alla crudeltà degli uomini, fino in fondo, si mantiene pura e eterna, segno e esempio per chi desidera continuare a resistere.
A cura di Alessandra Cavazzi
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