Mille miglia lontano dal cinema
Numerosi e molteplici sono i pericoli che s’incontrano quando si percorre un cammino molto lungo: distrarsi, perdersi, prendere il braccio sbagliato di un bivio, incontrare ostacoli, dimenticare perché si è partiti. A quest’ultimo Zhang Yimou capita di distrarsi, di perdersi, di smarrire insomma (con involontario e irrinunciabile gioco di parole) “la strada verso casa”. Dopo aver intrapreso le vie del wuxiapian con i più o meno riusciti esperimenti di Hero (Ying xiong, 2002) e La foresta dei pugnali volanti (Shi mian mai fu, 2004), il cineasta cinese torna alle atmosfere più intimistiche già esplorate in La storia di Qiu Ju (Qiu Ju da guan si, 1992) e Non uno di meno (Yi ge dou bu neng shao, 1999), e lo fa in modo poco convinto e ancor meno convincente.
Alcune tematiche del film sono quelle che caratterizzano la filmografia dell’autore: il plot piuttosto semplice (un pescatore lascia il suo villaggio per riallacciare un rapporto con il figlio) dovrebbe servire da base su cui innestare i temi del ritorno, dell’opposizione strenua della volontà del singolo alla società, della passione individuale per la giustizia. Nulla di nuovo, ma che almeno il già detto venga ribadito con onestà: inevitabile pensare all’ultimo film di Ken Loach Il vento che accarezza l’erba (The Wind That Shakes the Barley, 2006), uscito contemporaneamente a questo e lodevole per la sincerità e la coerenza con cui mette sullo schermo temi e stilemi cari al suo regista. Proprio della sua onestà ci fa dubitare Zhang Yimou, che sembra forzare la mano alla storia decorandola con elementi creati apposta, sembra, per sottolinearne (inutilmente) il patetismo. Sorrisi di stucchevole buonismo, commenti musicali quando anche il silenzio sarebbe d’ingombro, improbabili pianti… tutto l’armamentario di un film drammatico di serie B di cui un regista del suo calibro non dovrebbe aver bisogno.
A ulteriore discapito della pellicola, alcune infelici soluzioni della sceneggiatura e una prolissità che aggrava il contesto. L’attenzione umana per il dolore, la cura per certe dinamiche sociali mostrate in alcuni film precedenti sembra svanita, per lasciare posto a uno sguardo superficiale e decisamente poco coinvolto, all’incapacità di rappresentare in maniera efficace l’affastellarsi iperbolico e vuoto delle parole intorno al protagonista. La poesia, e non solo quella, è lontana mille miglia. Difficile indagare i perché di una simile caduta, pare comunque che il regista abbia già terminato una nuova pellicola ad alto budget che riprende il wuxiapian. Speriamo che con questo possa ritrovare la strada.
A cura di Antiniska Pozzi
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