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Poesia e solitudine

Poesia e solitudine

La poetica giovinezza di “Madame deficit” e il triste ingrigito destino di una regina outsider: colei che pronunciò l’incriminata frase: «Il popolo ha fame? Che mangi brioches», colei che dissanguò le casse statali senza ritegno dandosi a vizi e baccanali, l’odiata austriaca che in Regno di Francia divenne regina infine decapitata: Maria Antonietta. Da sempre l’abbiamo conosciuta così.
Personaggio tra i più vituperati, incompresi, contestati della storia, torna a far parlare di sè, complice un libro dalle fonti certe (Maria Antonietta. La solitudine di una regina di Antonia Fraser) che ne riequilibra l’immagine, regalando un’inedita lettura della sovrana nel nuovo film di Sofia Coppola. Kirsten Dunst è la perfetta protagonista che interpreta, con diafana innocenza, diciannove anni di regno.

Una quattordicenne straniera, data in moglie a un delfino bambino, sola, tra intrighi e pettegolezzi, in una corte dai cerimoniali rigidissimi, si consola con pasticcini leziosi e scarpe cult (Manolo Blanik versione settecento). Una folle adolescenza la sua, segnata da un irresistibile desiderio di evasione: feste, abiti alla moda, acconciature paradossali e caramelle rosa shocking. Minuetti settecenteschi interrotti d’improvviso da musiche pop new romantic, immagini cool scattate come istantanee, un’estetica roboante intrisa di suggestioni moderne che incornicia con maestria echi pittorici antichi e allo stesso tempo attuali: da affresco settecentesco a rivista di moda contemporanea.
Il mondo di brioches e delizie si trasforma gradualmente in meditazione assorta della natura, dipinta con colori caldi e spontanei, per poi dissolversi nelle ultime austere visioni di una sovrana tinta di nero e segnata da lutti ed età. Un crescente senso di disinganno cala inesorabile come cruda realtà che tramonta sul sogno, un’infinita solitudine inconsolabile pervade lentamente luoghi e anime. Marie Antoinette diviene emblema mitico di decadenza, colomba sacrificale di una nobiltà destinata a estinguersi sotto i colpi del Terrore rivoluzionario.
Stati d’animo come percezioni visive: colori, cibi e abiti che si accalcano coi corpi in danze sfrenate, maschere, fiocchi, parrucche incipriate, bicchieri di champagne. Poi il vuoto.
Il vuoto di Versailles prima della morte, il vuoto nell’anima di Maria Antonietta, il vuoto di quei pomposi e vacui cerimoniali che ricaddero nell’oblio. Solo un’ultima immagine del viale incantato cui la regina dice addio. Poi il nulla come ombra della morte che tramortisce l’innocenza.

Ritratto di un’epoca popolata da nobili oziosi e nullafacenti, già descritta con sarcastico rammarico nelle pagine del Parini, il settecento emerge qui elegantemente attualizzato.
Un film innovativo, curatissimo nell’estetica. Fotografia formidabile, musiche ben calibrate, costumi eccellenti, ritmo balzano ma perdonabile. Si avverte un sottile senso di immaturità, metafore leggiadre e dialoghi garbatamente indefiniti. Sofia Coppola è ancora una fanciulla che ci racconta con occhi di bambina matura un’età che per molti di noi è difficile abbandonare.

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