Napoleone, l’ultima beffa
Sceneggiando con Scarpelli padre e figlio e Francesco Bruni, Paolo Virzì sfoglia sagace le pagine della Storia e osserva dal basso il periodo di esilio all’isola d’Elba di Napoleone, tiranno annoiato e nostalgico, che molti isolani accolgono con ridicolo entusiasmo, certi che la sua presenza comporti un miracolo economico.
Il racconto si sviluppa principalmente intorno al confronto tra l’Imperatore decaduto – un malinconico e istrionico Daniel Auteuil – e l’animo irruente e ossessionato del giovane Martino – il trascinante Elio Germano – che accetta l’incarico di scrivano e bibliotecario con la segreta intenzione di uccidere l’odiato traditore degli ideali della Rivoluzione. Eppure Martino vive la beffa di subire il fascino dell’incantatore Bonaparte, al tramonto sì, però sempre astuto trascinatore di folle, che parla poco e sembra non guardare, ma che al contrario vede e tutto sa, mentre si commuove guardando il mare e incontrando la vecchia tata, o si illumina davanti alle generose fattezze di una bella donna.
Parallelamente, sull’isola che pullula di vita, si snodano le vicende degli altri personaggi, tutti ben catterizzati e delineati: un coro di voci che, diretto con maestria, vede i destini di ognuno rovesciarsi e tingersi all’occorrenza delle sfumature della commedia, della tragedia, del melodramma e del grottesco.
Tra traffici, pettegolezzi, storie sentimentali e rivalse politiche sfila un godibilissimo campionario: la baronessa Bellucci finalmente diverte e convince con il suo vernacolo umbro, Mastandrea ci sorprende e da concreto mercante si scopre trasognato scrittore, l’Impacciatore prima zitellona isterica si placa grazie alla corte di uno sghembo e tenero Ceccherini in stato di grazia, e la timida servetta Inaudi si gode la sua rivincita.
Confezionano decisamente un raffinato affresco d’epoca la fotografia, la scenografia e i costumi, che donano valore figurativo e gusto dell’autenticità – basti pensare alla sequenza ambientata in osteria, quasi un tableau vivant – in un racconto che, non incappando in vuoti, si dimostra esteticamente e stilisticamente riuscito e scandito dal giusto ritmo.
E che soprattutto, come ogni commedia dovrebbe, ci fa sorridere e pensare.
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