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Bambini smarriti

Bambini smarriti

Il valico fra l’infanzia e l’età adulta è la presa di coscienza dell’amore e della morte, l’acquisita capacità di guardarli negli occhi. Cinematograficamente parlando, di guardarli in soggettiva, come accade a DJ quando la sua pupilla non può sfuggire all’occhio vitreo del signor Nebbercracker. Poco importa che si tratti di una morte apparente, il trauma non è meno sconvolgente.
Nei labili confini della fruizione mediatica contemporanea è difficile stabilire se Monster house sia un film per adulti, molto meno capire che si tratta di un film adulto, che tende alla complessità anziché alla semplificazione, e che non teme di mostrare le brutture dell’animo umano. Il mondo degli adulti di Monster house ricorda lo stesso tratteggiato in Terkel in trouble (Terkel i knibe, Kresten Vestbjerg Andersen, Thorbjørn Christoffersen, Stefan Fjeldmark, 2004): menefreghista, opportunista, incapace di amare – perfino l’atto sessuale è un esercizio di potere, quasi uno stupro, e non un emblema d’amore.

Abbandonati a se stessi, come tutti i ragazzi che stanno per compiere il grande passo del diventare grandi, il compito di colmare il divario fra sé e gli adulti grava solo sulle giovani spalle di DJ, Timballo, Jenny, in una notte di iniziazione che può essere solo quella di Halloween, dove i fantasmi della coscienza tornano alla luce. Secondo una legge imprescindibile nel mondo adulto, nessuno accorre in tuo aiuto; soprattutto, il nemico è crudele e la sopravvivenza comporta necessariamente la sua uccisione.
Mors tua vita mea, quindi: regola valida anche nei confronti delle creature amate e non solo per quelle nemiche. DJ non ha solo la fortuna di sopravvivere indenne – almeno fisicamente – alla notte dei fantasmi. Occhio che non si stanca di osservare con il cannocchiale ciò che si trova al di là del vetro di una finestra, quindi delle superfici e delle apparenze, a lui sarà permesso di conoscere il travaglio interiore di Nebbercracker, l’ineluttabilità di dover uccidere l’oggetto del proprio amore. Mostro amato e odiato, dalle sembianze vagamente miyazakiane, la casa dei mostri è innanzitutto una creatura che trasuda sofferenza. Nemmeno la comprensione del suo punto di vista, però, potrà salvarla dalla morte, dall’esplosione che è atto contemporaneamente spietato e pietoso, segno dell’inconciliabilità fra la necessità di sopravvivenza e l’amore incondizionato.

Una storia morale ma non moralistica il cui finale è solo apparentemente consolatorio. L’ordine non si ristabilisce completamente, l’equilibrio è ormai rotto. DJ può tornare a bussare alle porte chiedendo “dolcetto o scherzetto”, ma l’infanzia è ormai solo una maschera dipinta sul viso. Sotto il trucco, il bambino ha ucciso e amato, è irrimediabilmente cresciuto.

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