Perdenti on the road
«Vincere non è tutto. Ma perdere non è niente» si dice mesto Charlie Brown sulle strisce dei Peanuts dopo l’ennesima sconfitta della sua squadra di baseball. La strampalata famiglia Hoover sembra proprio una collezione di sconfitte subite con la vita: matrimonio in crisi, nonno cocainomane, figlio che non parla da mesi, zio reduce dal fallito tentativo di suicidio e figlia paffutella aspirante miss. Proprio la selezione superata dalla piccola Olive per partecipare all’elezione di Little miss sunshine porta gli Hoover su uno scassatissimo furgoncino Volkswagen giallo con problemi di avvio al motore. La loro destinazione? La California. Inizia così un viaggio pieno di piccole e grandi avversità, sulla strada che attraversa il confine tra vita e morte, tra sconfitta e rivincita.
Il film di Jonathan Dayton e Valerie Faris è un bel racconto, retto da un cast di attori poco conosciuti, ma molto bravi e perfettamente “allineati” alle nevrosi dei personaggi che interpretano. Da vicino nessuno è normale e i registi di questo film lo sanno bene, infatti piazzano la macchina da presa addosso alle anime che raccontano, portando lo spettatore in mezzo a questa famiglia disfunzionale. Mostrandoci un dettaglio o un particolare ci fanno dedurre capitoli interi del romanzo delle loro vite destinate apparentemente a un brutto finale.
Leggendo la trama, però, non fatevi ingannare: guardando questo film non vi troverete di fronte a una sorta di dramma stile Ragazze interrotte (Girl, interrupted, James Mangold, 1999). Qui siamo nel terreno della commedia. Little miss sunshine infatti ritrae in maniera divertente con i colori dell’ironia, del sarcasmo, dei dialoghi ben scritti e del sorriso sulle labbra gli effetti collaterali prodotti dalla società made in Usa, che fa dell’apparire e dell’avere successo le divinità moderne e le massime aspirazioni.
I membri della famiglia Hoover supereranno le proprie crisi nell’unico modo possibile: vedendo svanire i propri sogni e accettando la natura di freaks contemporanei che faticano a inserirsi nell’omologata e decisamente più spaventosa (guardare le fintissime baby miss dal trucco pesante e le acconciature improbabili per credere!) popolazione americana. Vi rimarrà a lungo in bocca il sapore agrodolce di questo piccolo film che si inserisce perfettamente nella scia delle produzioni alternative statunitensi, come dimostra l’ottima accoglienza ricevuta al Sundance Film Festival dove la proiezione si è conclusa con una standing ovation.
A cura di Claudio Garioni
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