Una spora del grande horror
Nel sonnacchioso mercato estivo degli horror, sapendo ben cercare, si possono scovare chicche sorprendenti. Così nelle ultime stagioni siamo rimasti affascinati ad esempio da pellicole come 28 giorni dopo (28 days later, Danny Boyle, 2002) o La casa del 1000 corpi (House of 1000 corpses, Rob Zombie, 2003). Quest’anno è la volta di Slither.
Il regista, James Gunn, proviene dalla Troma, la mitica casa di produzione splatter americana, e si vede. Il film parte come un classicissimo sci-fi anni cinquanta: un meteorite cade in una cittadina della provincia americana portandosi dietro uno strano essere che “occupa” il corpo di un uomo.
Da questo incipit, Gunn ripercorre tutto l’horror americano degli ultimi cinquant’anni, soffermandosi con particolare affetto su quello romeriano e su quello splatter degli anni ottanta. La citazione non è però mai abusata, ma ben giocata all’interno di una narrazione che continua a mescolare terrore e risate. I dialoghi risultano quindi molto curati, e finiscono per essere più incisivi di quanto si possa pensare, come nel caso delle frecciate al governo repubblicano.
Pur incrociando diversi tipi di horror, non c’è nulla di vacuamente postmoderno in Slither: dal trucco fatto con il make up invece che con il digitale, al montaggio semplice e lineare, tutto potrebbe essere stato realizzato anche trent’anni fa. Quando non si girava un solo buon horror all’anno, ma i Cronenberg e i Carpenter spuntavano come funghi. Slither è la dimostrazione che fortunatamente qualche spora è arrivata fino a noi.
Curiosità
Numerosi nomi dei personaggi sono degli omaggi a grandi classici dell’horror: il sindaco di chiama R.J. MacReady, come il personaggio interpretato da Kurt Russel in La cosa (The thing, John Carpenter, 1982), mentre uno studente si chiama Earl Bassett, come nel film Tremors (id., Ron Underwood, 1990), e i vicini di casa sono i Castevet, come in Rosemary’s baby (id., Roman Polanski, 1968).
A cura di Alberto Brumana
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