Morale in 3D
L’assenza di sogni è causa di morte, non solo spirituale ma fisica. Senza la capacità di sognare l’uomo è una piatta silhouette, soltanto nel regno della fantasia quei corpi acquisiscono la consapevolezza della necessità del sogno, o ritornano nel limbo innocente dell’infanzia in cui il possibile non conosce limiti. Il giorno del solstizio d’estate, la porta fra il mondo reale e onirico esiste ed è ancora aperta, ma gli uomini e le fate hanno dimenticato come oltrepassarla, votandosi di fatto alla morte. La morale di Una magica notte d’estate non è nuova nel cinema d’animazione né in quello fantastico e alimenta proprio ciò di cui il cinema d’animazione si nutre: rendere visibile ciò che è già osservabile agli occhi dell’immaginazione.
Il moralismo in sé non sarebbe dannoso se fosse sorretto da una sceneggiatura apprezzabile. Come sempre, il cinema d’animazione fatica a decollare nel formato del lungometraggio. Una magica notte d’estate è purtroppo l’ennesimo film in cui una discreta riuscita grafica e tecnica non trova supporto in una narrazione intrigante. Ogni evento del film è prevedibile fin dal primo istante: il ricatto di Demetrio, l’amore di Lisandro, gli scherzi di Puck sono fiutabili dallo spettatore con molti minuti di anticipo. Il binomio morale / prevedibilità si rivela essere un concentrato di noia letale, mentre gli intermezzi musicali assestano il colpo di grazia. La percezione complessiva è di un film che riesce a veicolare il messaggio di cui vuole essere portatore solo attraverso la parola scritta, freddi enunciati pronunciati o cantati.
Il 3D di Gómez e De La Cruz si è molto raffinato dalla Foresta magica (El bosque animado, Manolo Gómez, 2001): là si trattava di uno dei primi tentativi di animazione 3D in Europa, qui ormai la tecnologia è diventata maggiormente accessibile. Nonostante la maggior cura dei dettagli e di alcuni effetti come la texture (i capelli di Demetrio sono molto ben riusciti), il risultato non è qualitativamente all’altezza dei miracoli Pixar & Co. cui ormai lo spettatore è abituato, né riesce a servirsi della propria specificità grafica a fini espressivi, come invece aveva saputo fare Terkel in trouble (Terkel i knibe, vari, 2004), dove la bassa qualità del 3D rafforzava il tono unpolitically correct del film. La caratterizzazione dei personaggi, sia nella grafica che nel movimento, è dannosamente piatta: Elena, la protagonista, è una ragazzina anonima nelle fattezze. L’unico personaggio riuscito è Puck, irriverente folletto dal naso a patata e in perpetuo movimento.
Sperando di non cadere nello stesso verboso moralismo del film, ancora una volta non si può fare a meno di augurarsi che l’animazione trovi una necessità del racconto prima di una realizzazione grafica.
Curiosità
Il film ha vinto il premio Goya 2006 per la miglior pellicola di animazione
A cura di Fabia Abati
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