Un passo indietro nella terra
Sottoterra, scavando, qualcosa si trova sempre. Anche nell’ottavo film di Sergio Rubini, scavando, qualcosa si trova. Bisogna scavare molto e sperimentare una buona dose di pazienza, ma qualcosa si trova. Setacciando La terra ci si accorge però che quel che rimane è proprio poco e considerando che negli ultimi anni Rubini aveva realizzato film sfiziosi, la delusione è doppia. I personaggi, i luoghi, i gesti vengono riproposti in una forma che convince poco e scricchiola molto. Sembrano delle parentesi.
Tutto il film gravita attorno alle vicende di quattro fratelli (la famiglia è la struttura portante) che si ritrovano dopo anni (e il tempo è un concetto in bilico tra nostalgia e rancore, radici del passato e propulsione di riscatto) a discutere dell’eredità (la terra è viva come elemento che unisce e divide, ma anche come strumento che porta al denaro e garante dei valori). Luigi è il fratello emigrato, abbandonato dalla famiglia, divenuto onesto a Milano, dove fa il professore di filosofia, Michele è il politico della situazione, corrotto o indebitato, Mario è quello più giovane, devoto (la religione, la chiesa, il senso di colpa) al volontariato e Aldo è quello nato da altra donna, che ha sempre vissuto sulla terra. La situazione, di per sé già complicata, si aggrava quando il boss del paese viene ucciso durante la processione del venerdì santo. Iniziano le indagini e, probabilmente nello stesso istante, inizia il film di Rubini.
Non ci vuole molto a capire l’affetto che Rubini prova verso la sua terra pugliese, e, infatti, nel setaccio rimane solo la Puglia, musa ispiratrice del suo cinema. Ogni tanto si intravede qualche immagine evocativa (ad esempio Bentivoglio in bicicletta tra i campi), ma le atmosfere misteriose, gli inganni surreali, la feroce ironia è tutto materiale del passato. Niente a che vedere con questo film, che forse più di altri ha l’intenzione di celebrare la poeticità e l’ambiguità di quella terra. Rubini sperimenta il giallo come genere cinematografico, senza però munirsi di un’efficace sceneggiatura. Il sole batte sempre sulla terra ma non si vede l’ombra della lucidità narrativa o del fascino dei personaggi emerso nei precedenti film. Questa è una terra arruffata. Una storia tinta di giallo macchiato di sangue, in cui però il sangue, spesso frequente come icona nei cinema di Rubini, qui si intravede solamente. Come una macchia, sporca ma non lascia il segno.
Curiosità
Ha detto Rubini: «In un racconto di Borges dal titolo Il mnemonista si racconta di un signore che ricorda tutto, perché riesce a collegare i suoi ricordi a tutti i particolari di una strada che conosce a memoria. Credo che per me la Puglia rappresenti lo stesso. Uno scenario sul quale appendere esperienze e ricordi».
A cura di Matteo Mazza
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