Il futuro ha inizio
Staccandosi dalla pletora iper-acrobatica di altre eroine scaturite da cartoni animati o da tavole a fumetti, vedi Elektra (id., Rob Bowman, 2005) e Catwoman (id., Pitof, 2004), Aeon Flux di Karyn Kusama è concepito nel tentativo, spesso riuscito, di dare spessore psicologico al personaggio creato da Peter Chung. E questo segna già un primo punto a favore della trasposizione cinematografica. Una buona impressione che si consolida avvertendo la sostanziale fedeltà del film rispetto alla serie di corti d’animazione andati in onda con crescente successo nella “Liquid Television” di Mtv, dove il personaggio di Aeon Flux ha spopolato per un mix di tre doti principali: l’estrema abilità nelle arti marziali, la sete di vendetta-giustizia e un corpo sexy affatto alieno ai piaceri dell’eros. Caratteristiche che nella pellicola di Kusama vengono puntualmente riproposte, anche se con proporzioni meno rilevanti rispetto all’aggressività espressa dall’eroina nella versione animata.
Inguainata in una catsuit rigorosamente nera, è l’affascinante Charlize Theron a prestare le sembianze ad Aeon Flux. E, per la verità, le fattezze piuttosto giunoniche della Theron, che appare come una sorta di Venere di Milo con costume in pelle, dapprima saltano agli occhi se riferite alla silfide Aeon proposta nell’anime di Mtv, ma poi la Theron ci fa dimenticare questa distonia, mostrando non solo un’ottima preparazione atletica, ma anche una solida capacità interpretativa di cui è naturalmente sprovvista l’eroina di Chung.
Se nelle fasi iniziali del film, però, qualche florilegio di troppo fa “sfilare” più che recitare l’attrice, come fosse una sorta di omaggio al suo passato di modella, in seguito questo peccato non viene più riproposto e la vicenda entra presto nell’azione e nel vivo di un futuribile 2415.
Un futuro segnato da un virus che ha sterminato il novanta per cento dell’umanità. I superstiti vivono in un’unica città, chiamata Bregna, cinta da altissime mura che la separano dall’esterno e governata dispoticamente dalla famiglia Goodchild. Contro questa tirannia, e per vendicare l’assassinio dei propri famigliari da parte di agenti governativi, Aeon Flux, assieme a dei rivoltosi anarchici, si impegna a rovesciare la dittatura dei Goodchild e a mettere in luce la finzione di una società apparentemente perfetta, senza guerre né povertà, custode di un terribile segreto.
Un apologo morale ben noto ai cultori della fantascienza e della fantapolitica. Con film che partono dal capostipite Metropolis (id., Fritz Lang, 1927), passando per Orwell 1984 (id., Michael Radford, 1984), Zardoz (id., Jonh Boorman, 1974), 1997: fuga da New York (Escape from New York, John Carpenter, 1981), arrivando ai più recenti Codice 46 (Code 46, Micheal Winterbottom, 2003) e The Truman show (id., Peter Weir, 1998), solo per citarne alcuni. Pellicole che in vario modo ci hanno messo in allarme rispetto a falsi profeti della libertà, società governate dalla polizia o guru dell’informazione dediti a spargere narcotici per volontari mediatizzati.
Nel disegnare il suo monoregno “perfetto”, però, il film di Kusama, più di altri, si avvale di stimoli visivi legati all’architettura e al design di interni che rimarcano assai bene la distanza siderale fra gli ideali di convivenza sociale e la loro effettiva operatività. Merito di un intenso lavoro preliminare di concept art in ambito scenografico che si è risolto in impeccabili quanto fredde soluzioni architettoniche, con ambienti prevalentemente open space, i cui elementi di separazione si rivelano soltanto per l’improvvisa visualizzazione di strutture virtuali regolate digitalmente.
Al top di questa società dell’illusione, dell’effimero in versione piramidale, c’è una specie di Olimpo-navetta che veleggia sulle teste degli abitanti di Bregna, donando l’impressione che tutto sia letteralmente governato dall’alto con grande ordine e saggezza. Ed è una felice intuizione, alla fine del film, che sia proprio quello stesso Olimpo virtuale, schiantandosi sulle mura di cinta, a far cadere i falsi Dèi, svelando contemporaneamente un varco verso una naturalità perduta da amare e riconquistare.
A cura di Osvaldo Contenti
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