Grottesco ma non troppo
Se da quasi quarant’anni si dirigono film e ancora nessuno di questi ha fatto gridare al capolavoro un motivo ci sarà. Non c’è genio, non c’è talento particolare, probabilmente c’è solo mestiere. È il caso di Bertrand Blier, regista francese che in modo discontinuo nel corso degli anni ha diretto diverse pellicole più o meno riuscite (le migliori rimangono Troppo bella per te – Trop belle pour toi, 1989 – e Lui portava i tacchi a spillo – Tenue de soirée, 1986). Un mestierante appunto, che ormai conosce bene gli attrezzi che può utilizzare ma che, arrivato il momento dell’assemblaggio, non sembra in grado di trovar loro una precisa collocazione artistica. Così anche questa commedia, forse più delle altre perché maggiormente pretenziosa, sembra essere un impasto di numerosi ingredienti che, messi tutti insieme alla rinfusa, danno un risultato che oscilla tra il patetico e il pessimo. Si parte da una base di grottesco e paradosso, condotti però con talmente serietà che viene da domandarsi quanto siano voluti o quanto terribilmente casuali. E a dimostrazione della serietà tutta una serie di elementi che vengono a formare il discorso filmico.
Si inizia dai contenuti, che già hanno in sé tutti i possibili clichè, stereotipati da decenni non solo di cinema ma anche di teatro e letteratura, che possono far presagire il disastro: la puttana che vuole redimersi e diventerà buona (un’immobile Monica Bellucci, sempre bella ma anche sempre più rotonda e un po’ sgraziata), l’uomo medio stanco e insoddisfatto della sua vita (il bravo e simpatico Bernard Campan), il malavitoso arrogante e senza scrupoli (un Gerard Depardieu che non si sa perché si sia fatto coinvolgere in un progetto così poco interessante); sono personaggi talmente noti alle trame cinematografiche di tutto il mondo che, se non affrontati con una massiccia dose di estro, rimangono impantanati dentro loro stessi, legati mani e piedi ai luoghi comuni. Intorno ai tre personaggi, una serie di comparsate più o meno corali, tipiche di tutto un certo filone di commedia francese che ricerca nelle brevi apparizioni di figure fugaci battute e / o chiavi di lettura spesso risolutive: ovviamente nel film di Blier non avviene neppure questo, anzi le varie scene “di massa” sembra appesantire ancora di più la situazione, aggiungendo solo il numero delle persone che continuano a calcare la mano sui binari dell’insensatezza.
Una regia scialba, il cui unico moto d’animo è soffermarsi molto, anzi troppo, sul corpo e sul volto della Bellucci, in primi piani che tendono a stringersi sempre più; una musica lirica che regala alle scene salienti un tono melodrammatico del tutto inopportuno; una fotografia eccessivamente teatrale che gioca col chiaro scuro, con la freddezza del bianco e il calore del rosso e del blu per sottolineare i vari stati d’animo. In tutto questo polpettone capita di sorprendersi a ridere: ma è un riso isterico, a momenti beckettiano, che porta in sé tutta l’incredulità di trovarsi davanti a una boiata simile.
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