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Nel vortice dell’esistenza

Nel vortice dell’esistenza

Il cinema senza compromessi dei fratelli Dardenne vince la seconda Palma d’oro in sette anni, confermando l’inesauribile talento e l’ostinazione etica dei registi belgi che continuano a raccontare storie difficili nella loro personalissima maniera. L’enfant è la concitata vicenda di Bruno, Sonia e del piccolo Jimmy. Le frenetiche e rumorose immagini d’apertura della ragazza che batte piedi sulla porta gridando con il bambino in braccio, sono seguite da movimenti convulsi e respiri affannosi; tutto ciò che disturba e che nel cinema di solito viene eliminato per i Dardenne diventa segno stilistico e ideologico. La camera a mano, a seguire o anticipare i personaggi, lascia tra un’inquadratura e l’altra, scie di luce e colore che si sovrappongono a sfuggenti fotogrammi di particolari del corpo. Bruno è un randagio incapace di assumere la minima responsabilità e il suo bambino, ripreso di rado in viso, è solo una tutina azzurra da portare in braccio o una carrozzina vuota, l’entità estranea di una paternità ignorata. La giovane coppia vive una disperata simbiosi all’interno di un microuniverso composto di sequenze vitali e tenere come quella in auto ripresa dal sedile posteriore, come se dietro alla macchina da presa ci fosse “L’enfant” in piedi a spiare la loro giocosa fisicità. Ma “gli altri” sono sempre incombenti e assediano i protagonisti come la regia assedia l’inquadratura.

Nel vortice dell’esistenza e della regia
Quando la regia è dei fratelli Dardenne si entra nelle scene più drammatiche con naturalezza e senza enfasi, come nella vita reale. Da quel momento si è nelle loro mani, immersi nel vortice di un’altra esistenza. Non c’è violenza esibita ma angoscia continua, come nella terribile sequenza dei ragazzi che tornano per un istante fragili fanciulli dopo un inseguimento concluso nell’acqua gelata. Nelle anonime periferie post-industriali, dove vanno in scena l’indifferenza e il disagio, non c’è spazio per gesti estremi come il suicidio: l’unica speranza resta la prigione, l’unico sfogo un pianto a mani strette. Dopo Il figlio (Le fils, 2002), il bambino (L’enfant), film che forse rappresenta una storia meno intrigante delle precedenti, dove forse cominciano ad affiorare ripetizioni tematiche e stilistiche, forse. Ma l’eterno movimento di questa macchina da presa, che disturba ed esalta allo stesso tempo, rende ogni opera dei fratelli Dardenne tanto impedibile quanto necessaria.

Curiosità
La parte di Bruno è stata affidata dai registi a Jeremie Renier già protagonista de La promesse (id., 1996) mentre il poliziotto in borghese è interpretato da Olivier Gourmet premiato come migliore attore al Festival di Cannes per un altro film dei fratelli Dardenne, Il figlio. Il film è stato ispirato agli autori, durante le riprese de Il figlio, da una ragazza che vagava intorno al set spingendo una carrozzina con un neonato senza alcuna meta apparente.

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