Animali sociali
L’unione fa la forza
Un vecchio adagio recita «Com’è piccolo il mondo», e mai, prima della visione della pellicola di Jacquet, ne avevo avuto una percezione così nitida riguardo, perlomeno, il regno animale.
Le immagini proposte da quest’ultimo prodotto, figlio del trend portato ai vertici delle classifiche da Il popolo migratore (Le peuple migrateur, Jaques Perrin, 2001), Microcosmos (id., Claude Nurisdany & Marie Perennou, 1996) e Profondo blu (Deep Blue, Andy Byatt & Alastair Fothergill, 2003), appaiono, se possibile, ancora più emozionanti di quelle mostrate dalle pellicole in questione, complici gli splendidi pinguini imperatore, protagonisti della prima fatica cinematografica dello stesso Jacquet: dalle interminabili marce nel cuore dell’inverno antartico a quaranta gradi sotto lo zero fino alla poesia della danza d’accoppiamento, tutto pare potersi dire degli unici abitanti del Polo Sud, eccetto il fatto che siano, a loro modo, più “sociali” dell’uomo, animale dal quasi indiscutibile primato in questo campo.
Percossi dagli sferzanti venti delle tormente, i padri dei piccoli ancora protetti dalle uova danzano come funamboli sorreggendo i futuri cuccioli fra le zampe e il pelo, in un marsupio improvvisato, chiudendosi fino a formare una sorta di “falange oplitica” che fronteggi la furia degli elementi, simbolo, più che mai, di un unione istintiva e, ai nostri occhi, inspiegabile almeno quanto l’infallibile fiuto – legato a una sorta di empatia con il campo magnetico terrestre – che permette ai pennuti di ripercorrere seguendo tracciati ogni volta diversi la strada più sicura verso il luogo ove si celebrerà l’accoppiamento. Una lezione per noi uomini troppo spesso dimentichi non soltanto della natura, ma dei disegni che ne regolano gli equilibri, già ampiamente mostrati in ognuno dei film citati in apertura e che trovano nelle immagini de La marcia dei pinguini una nuova e certamente più toccante frontiera.
I canti della natura, le stecche dell’uomo
Purtroppo, a tante e tali premesse si aggiungono, immancabili e difficilmente perdonabili difetti di una pellicola che certamente poteva raggiungere risultati ben più alti: partendo dalle considerazioni prettamente tecniche, l’utilizzo massiccio di camere digitali – o almeno così paiono essere dalla qualità delle immagini – per le riprese sottomarine non ha certo giovato al realismo, che, in più passaggi, risulta quasi compromesso; a ciò si aggiungano effetti di drammatizzazione della vicenda che, se da un lato paiono ben orchestrati per montaggio e script, declassano il prodotto da documentario ad indirizzo scientifico – seppur a divulgazione “universale” – a una sortà di “melò” naturalistico con risvolti fiabeschi. Lo stesso si dica della voce narrante, saggiamente eliminata da Microcosmos e poco presente in Il popolo migratore, che trova in Fiorello un discreto interprete per le esposizioni più nozionistiche, ma una scelta pressoché pessima nella trasposizione e reinterpretazione delle “voci” dei pinguini, al centro di siparietti resi ridicoli anche agli occhi del più piccolo e ingenuo degli spettatori.
La bellezza, così come lo splendido impatto di immagini e gesti come la danza d’accoppiamento, il radunarsi per fronteggiare il freddo, la madre privata del cucciolo che in preda alla disperazione cerca con la violenza il “rapimento” di uno degli altri piccoli si sarebbero commentate – certamente meglio – da sole. Una pellicola, dunque, dal doppio volto, capace di emozionare e deludere, conquistare per la bellezza della natura quanto stupire per l’ingenuità palese e disarmante dell’uomo, che in tutto questo narrare pare cercare una risposta che i simpatici pennuti conquistano ogni giorno, attraversando una vita di stenti che trova il suo apice e punto di raccordo non nelle presunte leggi di natura, o in chissà quale teoria sull’evoluzione, o fiaba, bensì grazie a piccoli gesti d’interazione che ne definiscono i cristallini rapporti. Più che raccontarne la vita, di questi splendidi pinguini imperatori dovremmo forse preoccuparci di comprenderla.
Curiosità
Negli Stati Uniti La marcia dei pinguini ha realizzato il secondo incasso di sempre ottenuto nelle sale da un documentario. Di meglio ha fatto soltanto Fahrenheit 9/11 (id., Michael Moore, 2004). La voce narrante scelta per il doppiaggio statunitense è del veterano Premio Oscar Morgan Freeman.
A cura di Gianmarco Zanrè
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