Il lato oscuro di Mr. Crocodile Dundee
Presentato a sorpresa all’ultimo Festival di Cannes, Wolf Creek ha ottenuto un inaspettato successo di pubblico, nonostante la presenza di un horror nella sezione Quinzaine des realisateurs sia apparsa come un estroso vezzo transalpino. Il film prende spunto da un fatto di cronaca e presenta una struttura narrativa non certo innovativa che prosegue la scia di recenti pellicole tra cui il remake di Non aprite quella porta (The Texas chainsaw massacre, Marcus Nispel, 2003) e di successi del passato come Un tranquillo weekend di paura (Deliverance, John Boorman, 1972). I clichè di genere, come in ogni horror che si rispetti, non mancano: l’inizio con le immagini “sporche” girate con una macchina da presa a mano di bagordi a base di alcol, sesso e tuffi in piscina, il contrappasso moralistico della punizione, il gruppo di ragazzi stereotipato e il bar con avventori locali sardonici e minacciosi. Forti le sequenze splatter, concentrate nella seconda parte, tra lame che si conficcano alla base di una spina dorsale, una ragazza che corre insanguinata come Carrie (Carrie, Brian De Palma, 1976) o un’improvvisa coltellata attraverso il sedile di un auto.
Natura incantata e natura (umana) maligna
Di maggiore interesse l’insolita ambientazione agorafobica tra le sterminate lande australiane contrapposta alla tipica claustrofobia di genere dove il panico esplode in uno spazio chiuso. Il deserto australiano diventa l’inedito scenario di un terrore che scorre su incantate immagini naturalistiche: albe, tramonti, crateri e sequenze notturne immerse nella nebbia evocano le misteriose e suggestive atmosfere di Picnic a Hanging Rock (Picnic at Hanging Rock, Peter Weir, 1975). La macchina da presa si muove freneticamente, come spesso nell’horror moderno, alternandosi alla fissità delle immagini panoramiche e diventando la cornice per alcune “visioni” del regista: le ragazze nascoste da una roccia e il cattivo sopra di loro in controluce con un fucile più western che horror, la vittima crocifissa che “resuscita” dolorosamente con i chiodi strappati dalle mani e la sagoma del “cowboy nero” che svanisce stagliandosi nel giallo dell’alba australiana.
Le citazione ironica del coltello di Mr. Crocodile Dundee non è solo una nota scherzosa ma l’arma che svela il lato oscuro e meno noto di un paese dove ogni anno spariscono 30.000 persone.
Curiosità
Greg McLean, già regista teatrale e pubblicitario, si è ispirato a fatti di cronaca come la vicenda del serial killer di Snowtown e di Ivan Milat, l’uomo che uccise diversi autostoppisti tra le strade australiane. Wolf Creek è un film low budget girato con camera digitale e obiettivi ad alta definizione.
A cura di Raffaele Elia
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