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cultura dell'immagine e della parola

La musica al di là delle parole

La musica al di là delle parole

In una società in cui tutto sembra andare al doppio della velocità consentita al battito del cuore umano e in cui i punti di riferimento costruiti da decenni di saggezza sono stati selvaggiamente estirpati, quasi normale sembra la tentazione di cedere alla disperazione e a un principio di innocua follia.
Non remake, ma “liberamente ispirato” a Rapsodia per un killer (Fingers, James Tobak, 1978) con Harvey Keitel, Tutti i battiti del mio cuore parla di un disagio contemporaneo, distaccandosi serenamente dal suo predecessore targato Usa per una sincera profondità francese, sapientemente noir.

Jacques ,dopo aver diretto l’altrettanto conturbato Sulle mie labbra (2001), si conferma come uno dei nuovi autori francesi più interessanti: un linguaggio espressivo preciso, fatto di veloci cambiamenti di ritmo e di visione, di una macchina da presa che spietata e in continuo movimento pedina, come in un corpo a corpo ravvicinato, la sua preda, fino a sorprenderla nel più riposto moto d’animo. Così la vita di Tom viene lentamente decostruita: da giovane automa che si aggira felino e sicuro per le strade parigine, inizia a diventare persona che scava dentro di sé e scopre le sue menzogne, le sue paure, la sua solitudine. La mancanza di comunicazione tra lui e il resto del mondo è assoluta, la vacua superficialità dei suoi rapporti interpersonali sfocia con una forza e un dolore dirompenti. Un po’ inconsciamente cercato, un po’ casuale, arriva allora il riavvicinamento alla musica, sogno adolescenziale appena sfiorato. Attraverso le note e il linguaggio non verbale stabilito con l’insegnante cinese di pianoforte (l’eterea Linh Dan Pham), Tom ricomincia a comunicare e a sognare. A fare del protagonista un bel personaggio contemporaneo non solo la mano felice del regista, ma anche la bravura dell’attore Roman Duris, trentenne francese emergente (già visto in L’appartamento spagnolo – 2005 – e ora in Bambole russe – 2002 – sempre di Cédic Klapisch): un volto mobile, capace di ricoprire una vasta gamma di smorfie, una gestualità scattante che, sebbene ogni tanto possa apparire eccessiva, bene esplica gli scatti di rabbia e di nervosismo di cui l’irrequieto personaggio è spesso preda, creando fra l’altro non pochi effetti di ilarità.

Niente happy end ovviamente per questa pellicola brutta e a tratti fastidiosa, cupa anche se di tanto in tanto divertente: Tom, probabilmente, si è salvato, ma a caro prezzo, rinunciando a sognare e facendo del compromesso la sua tranquillità.

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