Esiste la “giusta causa”?
La storia si apre con l’immagine di un anziano giapponese che rende omaggio alla tomba di Adolf Kamil in un cimitero ebraico di Gerusalemme. Si tratta di Sohei Toge, protagonista e narratore di questo giallo storico che ripercorre il mezzo secolo più sanguinoso della storia dell’umanità e racconta gli avvenimenti che hanno portato alla morte i tre Adolf del titolo.
L’anno è il 1936, durante le Olimpiadi di Berlino, fase di massimo splendore del Reich. Isao, fratello di Shoei, studente universitario in Germania, viene in possesso di alcuni documenti che contengono informazioni potenzialmente catastrofiche la dittatura nazista. Prima di restare ucciso dagli agenti della Gestapo, Isao riesce a nasconderli; sarà compito di suo fratello rincorrere i segreti nascosti dentro quei fogli, tra l’aperta ostilità dei tedeschi e il subdolo ostruzionismo dei suoi connazionali, fedeli all’alleanza con Hitler.
Il ritmo degli eventi è molto serrato, essenzialmente per due ragioni: nonostante la storia ricopra un arco di circa mezzo secolo (dal 1936 al 1983), l’intreccio principale si svolge tra il 1936 e il 1945, e consiste in una corsa contro il tempo per il recupero dei documenti; inoltre, la pubblicazione originale del fumetto avvenne su una rivista a cadenza settimanale: di qui con la necessità di tenere sempre alta l’attenzione del lettore.
Il tipico tratto semplice e arrotondato dei lavori di Tezuka – si prenda come esempio l’adattamento cinematografico di Metropolis – in quest’opera viene sostituito da un maggiore realismo.
Le personalità dei numerosi personaggi della storia appaiono contraddittore e complesse come se si trattasse di persone in carne e ossa. A parte il Führer, incarnazione della pazzia, la psicologia di buoni e cattivi non segue regole ferree: non è detto che chi è buono oggi lo sarà anche domani.
L’aspetto che rende unica quest’opera è il particolare punto di vista. L’autore affronta la questione dell’odio – nella storia in questione, quello verso la religione ebraica – con lo sguardo distaccato di chi, di questo odio, non si è mai macchiato: il popolo giapponese. E, allo stesso tempo, con la compassione di chi è consapevole di condividere con gli ebrei le ferite più profonde della Seconda guerra mondiale. L’olocausto nucleare subito dai giapponesi, nel racconto solamente accennato, aleggia in ogni vignetta e in ogni dialogo, come spesso accade nelle opere d’arte del Sol levante.
Dunque un accorato appello pacifista, ben riconoscibile all’interno di una storia intrecciata con maestria, ricca di colpi di scena. Perché Tezuka non solo mette in luce la questione dell’odio antisemita, ma cerca di smascherare la sua origine ideologica e di proporre una soluzione. Solo quando ogni uomo saprà esercitare il proprio senso critico, l’umanità sarà in grado di proteggersi dalle manipolazioni di chi esercita il potere. Una lezione quanto mai attuale che condanna l’odio verso l’Altro senza l’arroganza di incarnare un fantomatico “Bene Assoluto”, ma che anzi nasce dalla consapevolezza che ogni forma di ideologia ha in sé il seme della violenza, che la “giusta causa” nasce da grandi ideali ma spesso diventa la propria nemesi.
Tezuka Osamu (1928 – 1989). Considerato il Walt Disney del Giappone, proprio da questi impara la lezione dei tratti semplici e arrotondati. La sua produzione è sterminata, circa 700 titoli e più di 150.000 pagine disegnate, ma non si occupa solo di fumetti: Astroboy (1963), Kimba, il Leone bianco (1965), solo per nominare alcune tra le serie animate che hanno contribuito all’”invasione” giapponese sugli schermi italiani. Per saperne di più e per una bibliografia completa http://en-f.tezuka.co.jp/home.html.
A cura di
in libreria ::