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L’amore è un gioco d’azzardo

L’amore è un gioco d’azzardo

Rien ne va plus
Proprio così, «l’amore è un gioco d’azzardo», come spiega la saggia e rugosa Dolly (Stockard Channing) all’insicura Sarah (Diane Lane). Come darle torto, del resto, quando l’immagine che filtra dalla pellicola è quella di una Las Vegas delle emozioni in cui l’uomo sentimentale non è che una «figura mitologica». E allora spazio all’insoddisfazione e al disincanto di questi neo-quarantenni in cerca di un nuovo primo bacio, a caccia di un principe o di una principessa, azzurri e ben reclamizzati. Questa vena malinconica, che nella protagonista (Diane Lane) prende connotati depressivi e nella controparte maschile (John Cusack) pseudo-isterici, finisce per oscurare il vero legittimo protagonista della vicenda: internet. Vagheggiato nel titolo e troppo velocemente accantonato da un metraggio che non gli rende affatto giustizia, rimane a far da spalla a gag dalla comicità scontata. Nulla a che vedere con il capostipite C’è posta per te (You’ve Got Mail, Nora Ephron, 1998) in cui, anche quando i protagonisti (Mag Ryan e Tom Hanks) mangiavano, dormivano o si incontravano al parco, pareva di sentirla girare la grande roulette, con le scommesse sospese nell’aria, e di vederla rallentare fino ad arrestarsi al suono di «hai un nuovo messaggio di posta». Qui, niente di tutto ciò. Solo accenni superficiali, confidenze tra amiche, impressioni vaghe su un fenomeno le cui proporzioni non sono intuibili ma che nel mondo, Stati Uniti in testa, fa proseliti. Poco approfondite le lacune comunicative che si celano dietro la rete globale, affidate a personaggi macchietta patologici, forse comici ma sicuramente surreali.

Risate a denti stretti
Il pubblico comunque è conquistato, anche se un po’ a singhiozzo. Gli stratagemmi comici non sono sempre azzeccati e sovente un po’ scontati. L’utilizzo poi degli attori a quattro zampe, a cui rimanda persino il titolo originale, non sortisce evidentemente l’effetto voluto. La funzione dei cani e la loro centralità nella storia vengono ben presto dimenticate ed essi rimangono comparse fedeli e silenziose ma pur sempre comparse, fili pendenti della sceneggiatura e magre soluzioni comiche (per capire che il nome del cane della protagonista, Madre Teresa, avrebbe dato l’innesco a qualche battuta, non occorreva essere aspiranti sceneggiatori). Tuttavia la pellicola riesce comunque a strappare qualche risata. Ride la coppia di neo-trentenni giovani e affiatati, ride la coppia di cinquantenni indenni e soddisfatti. E i quarantenni? In sala non ce n’è, sono tutti fuori a giocarsi, fino all’ultima fiche, uno scampolo di felicità contendendoselo magari… a colpi di mouse. Ma la ricetta più convincente viene da chi non te la aspetteresti mai. Ce la dà la vecchia generazione, quella di Christopher Plummer, canuto e arzillo, e di Stockard Channing che le idee chiare le aveva già ai tempi di Grease (id., Randal Kleiser, 1978) quando impersonava la turbolenta Betty Rizzo. Se si deve puntare lo si faccia, per lo meno, «su più tavoli» sentenzia lei che ha intuito che esistono regole ferree anche a un gioco di così libera interpretazione. Tenendo ben presente, come chiosa Plummer a metà pellicola, che «tanto più continueremo a ballare veloci tanto meno penseremo a ciò che è andato perduto per sempre».

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