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cultura dell'immagine e della parola

The Doves – Sky Starts Falling

Artista: The Doves
Brano: Sky Starts Falling
Singolo: Sky Starts Falling
Regista: Reuben Sutherland
Anno: 2005


Alla sua terza esperienza con un videoclip musicale (Phoenix Fondation – Ebb Be a Man i suoi precedenti), Reuben Sutherland scaglia un bianco e nero polveroso e imbrunito nella ridda di videoclip ipercromatici. Il signore non teme il retrò, ama giocare, si immerge e scandaglia senza ossigeno un sottosuolo di sogni dove nemmeno le leggi della termodinamica valgono più.

In questo lavoro tutto è basato, e bene, su una parata di aerei in formazione che il regista riesce a far muovere a proprio piacimento, ora simili ad angeli in volo, ora come tuffatori da un trampolino invisibile e inarrivabile. Semplici nelle forme, antichi come un ricordo svanito, nuotano nell’aria tra inserti di pellicola storica che impreziosiscono la tessitura del clip.

Sutherland ci porta in un tempo che non scorre, in un luogo che non c’è, trascinandoci per mano – con una sapiente mano – per le vie dell’inconscio, tra città vuote, palazzi grigi, traettorie dell’anima – perfette e rotonde – solcate da dirigibili gonfi pronti a esplodere.
L’aria è densa e sostiene i corpi quasi privi di peso.
I gesti diventano piccole grandi magie metropolitane dove monoeliche ammorbidite dagli anni s’impennano e picchiano, in un balletto aggraziato e tecnologico davanti a una bellissima dama dalla pelle di maiolica, distratta dai gioielli e dalle amiche.
Una delizia per gli occhi: la dama, i gioielli e le amiche!

Certo non sfugge l’occhiolino strizzato al comics d’autore, a Jean Giraud ‘Moebius’ più che ad altri. Gli orizzonti ad esempio e la sequenza con i dirigibili. Le proporzioni vaste e aperte rispetto ai contenuti, rarefatti eppure intensi, sezionati da sottili linee e minutissimi dettagli. E poi la distruzione di strutture metalliche che si schiantano al suolo come a bestie bastarde e ferite che alzano nuvole di polvere al cielo. Una distruzione preventiva e totale che mina quel poco rimasto del gruppo sociale intorno al protagonista; un ministro senza governo, un regnante senza terra, eppure felice.
Solo un uso un po’ spregiudicato e ripetitivo del grandangolo che contrae l’immagine al limite del fisheye ci riporta a una allucinante realtà, dove il protagonista, agitando le braccia come un direttore d’orchestra onnisciente e onnipotente, è in grado di muovere edifici interi e gettarli come zollette di zucchero in un’enorme tazza da té solo per il diletto della sua eterea amata, in una perfetta parodia dello scimmiottare maschile di fronte alla perfezione della bellezza.

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