La stanza della mente
Un paragone con il precedente film di Hideo Nakata mostra il modo in cui Salles ha deciso di trattare la materia della storia: se nel film giapponese la presenza fantasmatica è quasi da subito riconoscibile e visibile, in quello americano la minaccia è sempre latente e indefinita, la possibilità di vedere lascia spazio alla capacità di intuire. Lavora per sottrazione Walter Salles, creando un racconto di genere horror molto rigoroso: rumori misteriosi, presenze che nel concreto della vita quotidiana possono diventare inquietanti, colori e ombre, luci opache, sensazioni di morte che si insinuano nella mente della protagonista, proprio come un’infiltrazione d’acqua in una parete.
Pareti: il condominio di Roosevelt Island
Il primo protagonista del film, la cornice essenziale è proprio l’ambiente in cui Ceci e Dhalia si muovono. Un quartiere povero, un palazzo dal sapore stantio: massicce mura di cemento grigio formano una struttura chiusa e isolata, come un carcere. In questo luogo anonimo Dhalia e Ceci cercano di ricostruire la loro serenità, ma le pareti che dovrebbero proteggerle sembrano marcire attorno a loro, colano acqua sporca, l’umidità dell’appartamento è palpabile. E anche loro, come due spugne, assorbono l’acqua intorno, gonfiandosi e cambiando, inesorabilmente, la loro natura.
Proprio il rapporto tra ambiente e le due figure femminili diventa fondante nello sviluppo e nella credibilità della storia. Dhalia e la bambina sono legate da amore profondo e cercano di ricreare questa unione nella loro nuova casa, riempiendola dei loro oggetti e dei loro riti: tentano in qualche modo di ridurre la presenza angosciante della casa, che continua, come se fosse viva, a mandare segnali che turbano la loro tranquillità famigliare: l’acqua continua a filtrare dal soffitto oppure esce sporca dai lavandini e anche l’ascensore si bagna e si sporca come se si stesse autodistruggendo, non rispondendo ai comandi dei passeggeri.
Ossessioni: la mente di Dhalia Williams
Un luogo marcatamente claustrofobico e la presenza delle due bambine: sono elementi che potrebbero ricordare /italic]Shining (The Shining, Stanley Kubrick, 1980). In effetti il regista Salles ammette che la sua cultura cinematografica si è nutrita molto dei film di Kubrick, ma, al di là di questo, è interessante notare come in Dark Water i luoghi descritti possono essere interpretati anche come rappresentazione fisica della mente di Dhalia: si può dubitare dei fatti e ritenerli creazioni della fantasia della madre, della sua angoscia per il divorzio, del suo senso di protezione per Ceci. L’appartamento di Roosevelt Island è concretizzazione di un inconscio traumatizzato, allagato da ricordi dolorosi e da ansie costanti. Dhalia precipita fino in fondo nell’ultimo pozzo delle sue ossessioni, fisicamente inghiottita dalla sua stanza: finirà madre di se stessa, condannata a rimanere nell’appartamento, chiusa dentro il mistero della sua mente.
Curiosità
Roosevelt Island è una striscia di terra di circa quattro chilometri sull’East River di New York. Un tempo conosciuta come Elfare Island, ospitava malati e detenuti. In seguito, l’isola fu risanata e vi sorsero diversi edifici, la maggior parte costruiti nello stile Brutalist, gli anonimi monoliti postmoderni realizzati in cemento dove Dhalia e Ceci vanno a vivere.
A cura di Francesca Bertazzoni
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