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Il resto della vita non è forse così lungo…

Il resto della vita non è forse così lungo…

Una sala soltanto, qui a Milano, per questi Amanti Regolari che dalle barricate dans la rue si ritrovano in un interno, ancora una volta un appartamento, covo, più che di giovani artisti, di sogni destinati a rimanere tali. La pellicola inizia idealmente dove finiva The Dreamers (id., Bernardo Bertolucci, 2003): nelle strade, tra i fuochi e le macchine rovesciate, le ferite e la polvere, con le fughe dei Sognatori che vanno a riposare le loro illusioni sui tetti di Parigi, dove non possano raggiungerli gendarmi per i quali «i Rimbaud, i Baudelaire, bisogna metterli in prigione». Ma il maggio ’68 è un istante, un anno, un mese… è già ’69: e ogni cosa, sulla strada e dietro i portoni, sembra essere tornata normale. Che cosa c’è dopo la rivoluzione? I protagonisti gravitano intorno alla casa di Antoine, dispensatore di oppio e di riflessioni sulla ricchezza; qualcuno dipinge, qualcuno scrive poesie, tutti s’innamorano, le strade della città sono come i corridoi, si tenta di non trovare un senso, in nome di quella libertà fino a poco prima urlata nella notte, in nome della poesia.

Dialoghi realistici affiancano frasi prive di senso, e a tratti, la pellicola scorre con la stessa lentezza della vita vera. Lunghi piani sequenza, inquadrature fisse incollate ai volti e agli sguardi, soprattutto a quelli bellissimi di Louis Garrel e Clotilde Hesme, sperimentatori sotto i nostri occhi dell’amor fou, del romanticismo e del dolore di crescere, perdere, e perdere per sempre. Purezza contro corruzione, dolcezza dei versi e consistenza della materia; qualcosa s(colpisce) i giovani protagonisti, ma non c’è un nome per questo qualcosa. Uno strepitoso bianco e nero (fotografia di William Lubtchanski) consegna allo spettatore ogni emozione, ogni incapacità di dire dei protagonisti, tutto il dolore di chi si guarda intorno e non trova, forse perché non sa cosa cercare. È un cinema di cui si sente nostalgia, questo di Garrel, un cinema che non esiste, che forse non è possibile, perché se ne infischia di ogni logica di mercato, segue i sentimenti, i sussulti, i minuti che muoiono, fino in fondo, segue la melodia di un pianoforte, le suggestioni. Fughe e riposi, anarchia e sospensione; quello che sembra guerra, quello che lo è. C’è tutto il cinema francese che occhieggia da dietro, la Nouvelle Vague e Jean Vigo e Truffaut e Godard.

Che cosa c’è dopo i sogni? E dopo il ’68? C’è ancora spazio per gli irregolari? C’è stato mai davvero? La protagonista se ne andrà negli Stati Uniti e firmerà il famoso foglio in cui si deve dichiarare di non essere comunisti o drogati. «E io?», si chiede il protagonista. Che cosa li sconfigge entrambi? Forse l’incapacità di essere irregolari fino in fondo, di rinunciare davvero al senso, di vivere secondo la logica della poesia. «Il resto della vita non è forse così lungo», però, per Garrel, c’è ancora spazio per gli irregolari.
C’erano pochi spettatori in sala, e molti sono usciti prima della fine. Mi sembra di sentirli mentre lamentano la lentezza del film. Sinceramente, mi dispiace per loro. Loro sì, che sono regolari.

Curiosità
Appena terminato il Festival di Venezia, dove il film è stato presentato, Les amants réguliers è passato su Fuori Orario di Enrico Ghezzi (Rai 3). Pare che Ghezzi e Garrel aspettino di essere citati per danni dai distributori.

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