Nine lives under
Suite di destini incrociati, ritratto corale ed esistenziale di donne che vivono, soffrono e combattono, ciascuna occupando un ruolo diverso nella società umana. Brandelli di vita, stralci senza una formula narrativa forte, reali e minimalisti. Rodrigo Garcia, figlio dell’autore di Cent’anni di solitudine, discende artisticamente più dalla secchezza di Raymond Carver che dalla maestria di intrecci narrativi di Robert Altman. In realtà la struttura del film riprende e sviluppa lo schema del film precedente di Garcia (Le cose che so di lei – Things you can tell just by looking at her, 2000), e dona un respiro corale alle donne descritte senza elevarne alcuna al ruolo di protagonista.
Nove donne raccontate attraverso nove piani sequenza. Un’unica inquadratura che segue fluida la vita delle protagoniste senza intralciarle, mostrando come i giochi del destino portino le strade a convergere, anche se spesso si accostano semplicemente senza mai attraversarsi. Garcia viene dalla serie tv Six feet under ma dimostra una sensibilità cinematografica molto sviluppata, nonché una grande capacità di pennellare la realtà attraverso le immagini della fiction. Le donne di Garcia non sono felici, i rapporti con gli uomini sono spesso burrascosi, difficili, incompresi ma estremamente reali. L’unica nota non realistica è il personaggio di Dakota Fanning che rappresenta il filo irrazionale che mantiene in piedi la vita della donna dell’ultimo piano sequenza (con Glenn Close). Storie minime di stanchezza di vivere ma che sono descritte, e con esse il mondo femminile, con sensibilità assai rara per un regista uomo, tanto quanto Kathryn Bigelow è in grado di stupire nell’affrontare temi maschili.
Lo strepitoso cast si è aggiudicato il premio collettivo per la migliore interpretazione femminile al festival del cinema di Locarno. Se Glenn Close e Sissy Spacek sono ormai due mostri sacri di Hollywood, così come Holly Hunter e Robin Wright Penn sono attrici acclamate, stupiscono anche le interpretazioni di tutte le altre protagoniste, meno note al pubblico, ma altrettanto espressive e coinvolgenti. Ma non sono solo le interpreti femminili a dare credibilità e spessore alle nove donne del film, come ci ricorda il Pardo d’Oro a Locarno 2005.
A cura di Carlo Prevosti
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