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Under the bridge

Under the bridge

Dogtown means Californification
Stacy Peralta è uno che si è dato da fare. E’ nato e cresciuto a Dogtown, che, a quei tempi, significava degrado, immondizia per le strade, edifici abbandonati e surf attraverso i piloni in ferro del vecchio e abbandonato P.O.P., grande polo d’attrazione famigliare simbolo dei favolosi anni passati: la prima cosa da mettere in gioco, pur di pensare, per un secondo soltanto, di uscire da una realtà così stretta, era il collo, forse l’unica vera fortuna dei ragazzi come lui, formatisi attorno al negozio di tavole artigianali costruite rigorosamente in copia unica da Jeff Ho, una delle guide spirituali del quartiere. Il negozio si chiamava Zephyr. Quando, complice il vento, surfare diveniva impossibile dopo le dieci del mattino, i ragazzi dello Zephyr ripresero un mito del precedente decennio caduto in disgrazia, lo skateboard, trasformandolo in un surrogato del surf, trovando modo di esercitarsi in quella che era la loro prima passione replicando sulla strada, nei cortili delle scuole, nelle piscine vuote delle ville in vendita lo stile dei più grandi campioni di surf esistenti. Stacy Peralta, non unico fra loro, vide così aprirsi una porta verso il futuro: talento, coraggio e una buona dose di ego avrebbero fatto il resto, proiettando lui, Tony Alva e Jay Adams oltre lo scioglimento del gruppo, verso una carriera non più solo sportiva che li vide, a fortune alterne, divenire da semplici ragazzi di quartiere vere e proprie icone di una generazione e di un paese, l’America, che a volte pare davvero essere in grado di offrire una chance a chiunque sia disposto a rischiarla. Certo, è lo stesso paese dominato dagli sponsor che comprò e disgregò un team unico e che, a oggi, pare aver realizzato i sogni di ben pochi di quei ragazzi, ma che, proprio attraverso questi audaci, o fortunati, è in grado di dare un senso alla ricerca di molti altri. Il succo della California nell’immaginario collettivo, dal West alla musica, dall’Oceano al Big One, è proprio questo. «Non è importante quello che fai, ma cosa rappresenti». This is the attitude.

Gimme danger little stranger
Peralta, chiusa la carriera di skateboarder e parallelamente alla sua realizzazione come uomo d’affari responsabile dei prodotti che portano il suo nome, viene da una lunga “gavetta” come documentarista di settore per la tv americana iniziata negli anni ottanta, che lo ha visto esordire con successo con questo documentario – vincitore, al Sundance Festival del 2001, dei premi del pubblico e della migliore regia – sul grande schermo. Non mancano le asperità del caso, certo, eppure l’ex ragazzo prodigio delle piscine vuote narra con partecipazione mai retorica una storia nostalgica e a tratti amara, il ritratto di una generazione e di un modo di intendere uno sport che lui stesso ha contribuito a creare che, a oggi, sotto il peso di sponsor, videogiochi e trasmissioni stile Mtv appare profondamente cambiato (non ne vogliano i più recenti campionissimi dello skate Tony Hawk e Steve Caballero). Lo stile non sempre è definito, e a volte Peralta dà l’impressione di voler stupire e di intendere più che bene quali siano le esigenze del pubblico di Festival come il Sundance, eppure passaggi come il montaggio alternato legato all’imitazione degli stili dei campioni del surf da parte dei giovani “zephyriani” e la straordinaria esibizione in freestyle di un tredicenne Jay Adams sulle note dell’hendrixiana Foxy Lady sono da brividi, come, del resto, la colonna sonora, forte di calibri come Black Sabbath, Aerosmith, T-Rex e Stooges. La chiusura, che tanto ricorda la nostalgia presente in pellicole come The commitments (id., Alan Parker, 1991), ha inoltre il merito di mostrare come nella vita, al contrario di quanto un film possa indurci a pensare, a volte i protagonisti non chiudono la carriera come vorrebbero, e quanto spesso i comprimari siano destinati a scomparire fra le pagine del grande libro.
L’importante, come lo stesso Jay Adams dichiara, è superare i rimpianti per continuare ad affrontare la vita.

Curiosità
Il documentario di Stacy Peralta, uscito negli States nel 2001 e lì già distribuito in dvd, è giunto in Italia soltanto ora, come traino alla distribuzione del più recente Lords of Dogtown, lungometraggio di Catherine Hardwicke, che conta, fra i protagonisti, anche Johnny Knoxville, star del programma di Mtv Jackass.
Fra gli altri intervengono nel corso del lungometraggio, scavando nei ricordi alla ricerca del loro modo di vivere il fenomeno “Z-Boys”, i musicisti Ian McKaye dei Fugazi, Jeff Ament dei Pearl Jam ed Henry Rollins.

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