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In Cambogia l’inferno delle adozioni

In Cambogia l’inferno delle adozioni

Dopo aver esitato tra Haïti, Mali, Vietnam e Cambogia, Bertrand Tavernier per girare questo suo film sul desiderio di una coppia sterile di adottare un figlio e le difficoltà di ottenerlo, sceglie quest’ultima.
La Cambogia infatti per la maggior parte degli adottatori è una lista d’attesa infinita e un vero e proprio incubo tra visite a orfanotrofi e trafile paralizzanti di prove da fornire, fogli da riempire, andate e ritorni in innumerevoli uffici, direttive vaghe e incomprensivili, inutili documenti e dichiarazioni, decine di firme e permessi che non arrivano mai (o che arrivano subito con le mance).
La Cambogia de La piccola Lola è il paese delle piogge monsoniche e delle immense campagne, del caldo asfissiante e della festa delle acque (Wat Phnom), dei numerosissimi orfanotrofi e delle coppie di occidentali desiderose di un figlio, della folla dei mercati e della discarica di Phnom Penh dove vivono centinaia di famiglie, dei bambini a piedi nudi che corrono dietro ai camion per spartirsi il contenuto, del caos, traffico e colore delle sue strade.

Di pari passo al viaggio nel cuore e nella realtà di questo paese alla disperata ricerca della possibilità di adottare un bambino, La piccola Lola è anche un percorso all’interno di una coppia che, messa alla prova dalle difficoltà, dagli imprevisti e dall’assurdità di una burocrazia corrotta ed esasperata da una situazione inverosimile, entra in crisi e traballa ma poi si ricompone più unita e matura di prima.
Tavernier, con uno sguardo lucido e realistico, tramite la storia di Pierre e Géraldine crea un’opera di fiction molto vicina al documentario che mostra, mette in forma e informa sulla condizione di un paese retto da un governo corrotto, esangue per il genocidio e i crimini commessi dai Khmers rossi, tormentato dalla povertà, dai traffici illeciti, dalla prostituzione, dal turismo sessuale e del mercato delle adozioni internazionali.

Le lunghe pratiche e le labirintiche negoziazioni finanziarie di Pierre e Géraldine prima per cercare una bimba e poi per ottenerla, non finiscono mai: quando sembra che la situazione migliori e le cose si risolvano, quando finalmente trovano la figlia che desiderano, ecco che succede qualcosa di nuovo che blocca e sospende le loro illusioni e speranze. La loro ricerca e il loro viaggio sembrano non avere mai termine così come il film: se a un certo punto sembra si sia giunti alla conclusione della storia, si aggiungono sempre altri imprevisti che spostano il lieto fine della vicenda e del film.

Alle origini della pellicola c’è il romanzo della figlia del regista, Tiffany, scritto a quattro mani con il marito Dominique Sampiero. L’idea della storia de La piccola Lola trae originariamete spunto da un altra storia cinematograficamnete irrealizzabile. Scritta da Tiffany era l’odissea di Justine, una ragazza che si ritrova immersa nel mondo umanitario e del volontariato di Calcutta. Passano tre anni, esce nel 2001 Laissez-passer e Tiffany Tavernier scrive un romanzo sull’adozione. Da esso nasce e si sviluppa La piccola Lola, «in fondo lo stesso percorso di Justine: un dolore immenso come punto di partenza, un viaggio in capo al mondo in un momento in cui i personaggi non avrebbero mai pensato di farlo, un paese a tutto tondo, una lotta, una metamorfosi, un ritorno» spiega Tiffany.

Un film interessante, che denuncia una situazione e un paese ai limiti della follia. Quello che non convince è l’indugio su certi momenti e gag che allungano troppo il film e soprattutto la messa in scena della colorata galleria dei personaggi che circondano Pierre e Géraldine all’hotel: coppie o single, anche loro alla ricerca disperata di un figlio da crescere e amare, ma mostrati troppo tipizzati per classi sociali e comportamento.
La piccola Lola resta comunque un film da vedere, soprattutto per diventare consapevoli della disperazione e dell’assurdità del mondo delle adozioni.

Curiosità
La piccola Lola traduce il titolo originale Holy Lola: Holy Baby è l’orfanotrofio dal quale viene Lola, che come la maggior parte degli bambini abbandonati, porta il nome dell’orfanotrofio seguito da quello proprio.

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