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La naturalità di una trasgressione

La naturalità di una trasgressione

Mona viene chiusa a chiave nella sua stanza dal fratello Phil, il quale ha appena trasformato il suo pub in un centro di ritrovo per “cristiani rinati”. Gli unici oggetti che la ragazza ha a sua disposizione sono dei pastelli, con i quali inizia a tratteggiare sulla parete i lineamenti di un volto femminile. L’intensità che questa sequenza è in grado di toccare presentifica l’incontenibilità dell’amore profano di Mona. La figura che prende forma nel muro è quella di Tamsin, giovane figlia di genitori benestanti, prototipo della famiglia agiata ma privata della felicità coniugale (il padre tradisce la moglie con la sua segretaria). I suoi atteggiamenti delineano una personalità forte, sicura di sé, categorie che si trovano in completa opposizione rispetto alle condizioni di Mona, che occupa la sua casa (il pub) con il solo Phil. La casualità dell’incontro e il silenzio pacifico che lo circoscrive rendono subito evidente l’intento del regista di porre l’attenzione sull’interazione tra i due personaggi. Sembra mancare un rigido intreccio narrativo, propendendo invece verso uno studio psicologico dell’osmosi figurativa delle due personalità in evidente posizione contrappositiva. Pawel Pawlikowski dipinge in questo modo un dramma dei sentimenti leggero e malinconico, nel quale la trasgressione arriva già dall’inizio a posizionarsi in profondità di campo, fino al suo totale annientamento. La storia delle due ragazze viene raccontata come una comune relazione adolescenziale: il primo incontro nella casa, sullo sfondo delle note di violoncello, cancella la possibile emanazione di trasgressività per sposare la sensualità di un sentimento istintivo, spontaneo.

Se sul piano diegetico l’obiettivo diviene riconoscere la naturalità del rapporto, stilisticamente Pawlikowski pone l’accento su elementi spiazzanti: l’incertezza claudicante della camera a mano e l’imperfettività del bilanciamento compositivo delle inquadrature delineano una volontà anarchica nel loro opporsi alla rigidità delle regole cinematografiche consolidate, prefigurando a livello visivo il rapporto anch’esso insolito tra Mona e Tamsin. La scarsa nitidezza della focalizzazione fotografica si inserisce perfettamente in questa aurea di profanità, riuscendo a esprimersi al meglio nel passaggio del trip allucinogeno, grazie al caldo apporto del tessuto musicale.

I dialoghi tra le due ragazze, carichi in alcuni istanti di voluta e ricercata banalità, elemento fondamentale per quella ricerca di spontaneità che contraddistingue l’opera, hanno come sfondo il paesaggio dello Yorkshire, sebbene questo non venga mai direttamente nominato, rilasciando l’ambientazione nella più ampia indefinibilità spaziale. A proposito della scelta delle location, il regista ha dichiarato: «C’è qualcosa in quel posto: una mistura tra il vuoto postindustriale e una natura stupefacente». Ancora una volta ritornano i due poli oppositivi attraverso i quali viene descritta l’opera: l’irrefrenabile impulso di una atipica e seducente relazione che prende i toni e i colori di una romantica naturalità.

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